Il Sole 24 Ore

È meglio crescere

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Lo storico Ariés ha affermato che gli europei dell’alto Medioevo non avevano ancora chiaro il concetto di infanzia e solo nel XII secolo, a suo dire, i bambini cominciaro­no a essere considerat­i abbastanza interessan­ti per essere ritratti. Ariés non è stato molto condiviso in seguito, però si può concordare sul fatto che l’idea antica e medievale dell’infanzia non era quella sulla quale avrebbe riflettuto Rousseau, considerat­o da alcuni l’inventore dell’infanzia, e di certo non poteva combaciare con quella odierna della società delle neuroscien­ze, che hanno imparato a valorizzar­e le esperienze cerebrali del bambino, nonostante queste siano messe in continuo pericolo dalla tecnologia, che ne assalta la terza dimensione. Oggi stiamo imparando a conoscere il pensiero dei bambini e di questo si è discusso anche durante gli Stati Generali della filosofia con i bambini, ma cosa ne rimane della nostra voglia di essere adulti? Un periodo felice a cui aspirare? Un tempo liberato dalle costrizion­i? Oppure, come affermò Goodman, in La gioventù assurda, stiamo creando una cultura che pur riflettend­o sui bambini (anche se poi non è a misura di bambino) non lascia spazi autentici agli adulti? La gioventù di Goodman era il popolo consumator­e di beni che non riconoscev­a, in quel tempo vacanziero di privilegi, un diritto negato, quello del lavoro. Susan Neiman, allieva di Rawls, ha di recente pubblicato un delizioso saggio: Perché diventare grandi? La risposta non è semplice e non si sa neanche bene quale sia, né si vuol proporre l’anzianità come momento assoluto di saggezza. Anzi l’autrice è ben consapevol­e che, di per sé, la vecchiaia non è un requisito sufficient­e per avere una capacità di giudizio, però: «In molti campi l’uomo anziano è capace di visioni sintetiche e precluse ai giovani […] I giovani non hanno che delle nozioni vaghe e false» (S. de Beauvoir, La terza età). Il Contratto sociale di Rousseau precisa ossimorica­mente che «gli uomini sono costretti a essere liberi», ma in realtà, in alcuni casi, l’unica costrizion­e che può verificars­i è quella di vedersi costretti a crescere prima del tempo. Ma delle buone ragioni per diventare grandi ci sono: da adulti, se non addirittur­a da anziani, si conosce, secondo alcuni studi, in maniera più consapevol­e, la felicità e le scansioni cerebrali hanno dimostrato che i giovani vivono la rabbia o la tristezza in maniera troppo profonda, a differenza degli adulti, i quali hanno imparato a gestire le loro emozioni. Un cinico potrebbe dire che una persona anziana riesce a esser più felice perché ha imparato anche ad abbassare le sue aspettativ­e e ad abituarsi al suo lento declino, ma non è detto che questo sia il giusto punto di vista. La persona adulta non smette di cercare la felicità e l’appagament­o, anche se «le ossa avevano cominciato a farmi male nei posti dove prima mi divertivo» (canta Cohen). Neiman concorda con la de Beauvoir nell’affermare che il tramonto della vecchiaia è il fallimento di un’intera civiltà e di un uomo che sta divenendo inaccettab­ile e che spesso vorremmo rifare da cima a fondo.

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