Il silenzioso lavorìo della Corte
so, deciso, di tutto ciò più che di se stesso. Il libro è ancor più un diario della Corte che una variante del genere delle confessioni. L’io dell’autore è osservazione, pensiero, dubbio talvolta e insegnamento – il mestiere questo della maggior parte della sua vita.
La Corte, un tema questo sul quale l’autore torna spesso ed a ragione, è un organo collegiale. I suoi membri non hanno figura pubblica, i voti relativi alle decisioni da prendere sono coperti dal segreto e queste sono espressione dell’organo, non di uno o di alcuni dei suoi membri. A differenza dei rappresentanti eletti, i giudici non esprimono preferenze di segmenti del corpo elettorale, il loro mandato non è rinnovabile e per questo non devono passare dinanzi all’approvazione di elettori per un rinnovo ed una eventuale riconduzione nell’ufficio. Il loro obbligo è di motivare singolarmente ciascuna delle decisioni prese e di deliberare insieme alla ricerca della soluzione più giusta delle questioni che vengono loro poste. È l’etica super partes della giustizia e dello Stato, non la ricerca dell’applauso attraverso il voto, che comanda il loro agire in quanto collettivo. Su questo modo di operare il libro è ricchissimo di informazioni, di riflessioni e anche di suggerimenti, che si nutrono della conoscenza straordinaria che l’autore ha di un gran numero di istituzioni analoghe alla nostra, in particolare la Corte Suprema americana.
Alla fine del libro il lettore potrà ringraziare l’autore per averlo portato compagno nel suo viaggio, informato, divertito anche, arricchendo la sua cultura. Alla bellissima citazione finale del Lied di Schubert chi lo legge, come l’autore di queste linee, può rispondere: «ero venuto come il viandante che esplora una terra nuova, me ne vado ora più ricco di conoscenza, saggezza e sapere», sulle istituzioni che ci governano e sulle modalità del loro operare nella complessa fabbrica del diritto.