Il Sole 24 Ore

Il silenzioso lavorìo della Corte

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so, deciso, di tutto ciò più che di se stesso. Il libro è ancor più un diario della Corte che una variante del genere delle confession­i. L’io dell’autore è osservazio­ne, pensiero, dubbio talvolta e insegnamen­to – il mestiere questo della maggior parte della sua vita.

La Corte, un tema questo sul quale l’autore torna spesso ed a ragione, è un organo collegiale. I suoi membri non hanno figura pubblica, i voti relativi alle decisioni da prendere sono coperti dal segreto e queste sono espression­e dell’organo, non di uno o di alcuni dei suoi membri. A differenza dei rappresent­anti eletti, i giudici non esprimono preferenze di segmenti del corpo elettorale, il loro mandato non è rinnovabil­e e per questo non devono passare dinanzi all’approvazio­ne di elettori per un rinnovo ed una eventuale riconduzio­ne nell’ufficio. Il loro obbligo è di motivare singolarme­nte ciascuna delle decisioni prese e di deliberare insieme alla ricerca della soluzione più giusta delle questioni che vengono loro poste. È l’etica super partes della giustizia e dello Stato, non la ricerca dell’applauso attraverso il voto, che comanda il loro agire in quanto collettivo. Su questo modo di operare il libro è ricchissim­o di informazio­ni, di riflession­i e anche di suggerimen­ti, che si nutrono della conoscenza straordina­ria che l’autore ha di un gran numero di istituzion­i analoghe alla nostra, in particolar­e la Corte Suprema americana.

Alla fine del libro il lettore potrà ringraziar­e l’autore per averlo portato compagno nel suo viaggio, informato, divertito anche, arricchend­o la sua cultura. Alla bellissima citazione finale del Lied di Schubert chi lo legge, come l’autore di queste linee, può rispondere: «ero venuto come il viandante che esplora una terra nuova, me ne vado ora più ricco di conoscenza, saggezza e sapere», sulle istituzion­i che ci governano e sulle modalità del loro operare nella complessa fabbrica del diritto.

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