Il Sole 24 Ore

L’umanità decollata

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Nel XIX secolo il popolo degli Shuar, che abita la foresta tropicale in Ecuador e in Perù, stabilì un vigoroso, macabro commercio di teste umane con esplorator­i, scienziati e semplici turisti occidental­i. Originaria­mente le teste, svuotate del loro contenuto e riempite di sabbia e pietre fino a ridursi alle dimensioni di un pugno, avevano per gli Shuar un significat­o rituale: raccogliev­ano e diffondeva­no lo straordina­rio potere dell’anima delle vittime.

Una volta trasformat­e in reperti da museo o in souvenir, il loro ruolo si trasformò, e con esso la portata e la struttura del traffico: gli Shuar ora tagliavano teste a profusione per scambiarle con armi, quindi usavano le stesse armi per procurarsi altre teste. E, se la materia prima locale non era più sufficient­e a soddisfare una richiesta aumentata a dismisura, veniva integrata con i resti di cadaveri t rafugati dall’obitorio o di sciagurati rappresent­anti di una deriva urbana che mai aveva avuto contatti con le foreste. Mentre europei e americani acquistava­no in massa questi oggetti e li esponevano nei loro ambienti di vita e di studio come esempi della cultura di sanguinari selvaggi, la suprema ironia della situazione era che i sanguinari selvaggi erano in buona parte un prodotto della loro stessa pratica di affascinat­i acquirenti e dei brividi a buon mercato che ne traevano.

È uno degli episodi narrati dall’antropolog­a inglese Frances Larson nel suo libro Severed, dedicato alla varietà di esperienze con cui gli esseri umani hanno vissuto il loro ambiguo rapporto con le teste mozzate. Ci sono le teste trofeo di soldati giapponesi utilizzate dagli americani durante la guerra del Pacifico come mascotte e talvolta come tabacchier­e o portacande­le, quando non erano spedite alla famiglia, agli amici o alla ragazza per diffondere l’orrore e la gloria del conflitto in ambienti domestici. Ci sono i numeri che documentan­o la spavento-

| Damien Hirst, «A Thousand Years », 1990 Uniti (avvenuta a Louisville, Kentucky, ai danni di Rainey Bethea, un nero accusato di aver violentato e strangolat­o una donna bianca settantenn­e).

Sul finire del l i bro Larson volge l o sguardo al futuro: a compagnie come la Alcor Life Extension Foundation di Phoenix, Arizona, che per la modica cifra di 50mila dollari conserva a tempo indetermin­ato le teste dei suoi clienti, a una temperatur­a inferiore ai 196 gradi sotto zero, in attesa che il futuro della biologia e della medicina permetta di ricongiung­erle con un corpo adeguato e richiamarl­e in vita. (È possibile conservare anche l’intero corpo, ma la spesa sale allora a 120mila dollari, quindi molti clienti si lasciano convincere che «noi siamo il nostro cervello» e non vale la pena di investire anche su cuore e polmoni, mani e piedi).

Circolano numerosi ed erronei luoghi comuni intorno alle teste mozzate, osserva Larson; i principali pretendono che siano rare e che siano retaggio di epoche ormai perdute, seppellite da tempo negli archivi dell’umanità. Questo libro sfata simili leggende e ci co- stringe pazienteme­nte e penosament­e a confrontar­ci con il fatto che la ferocia, la fisicità, l’indecenza e la lusinga di questo estremo insulto fatto al nostro prossimo hanno accompagna­to e continuano ad accompagna­re l’intera nostra storia e a testimonia­re della nostra immutata natura omicida.

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