Un’isola che oggi è paradosso
La Sicilia rappresenta oggi una sorta di paradosso dello sviluppo. Da un lato, è tra le regioni con la situazione economica e sociale più grave. Dall’altro, è tra quelle del Mezzogiorno che hanno il potenziale di crescita maggiore legato alla valorizzazione delle risorse locali.
Il presente è quello di una regione duramente colpita dalla crisi. Rispetto al 2007 il Pil è diminuito del 13% , quasi 30mila le imprese in meno, gli investimenti sono caduti del 41%, la disoccupazione è salita al 23%, l’occupazione (ufficiale) è scesa al 38%, i consumi delle famiglie sono calati del 10%; il 53% delle famiglie è in uno stato di deprivazione, il 16% in condizioni di povertà assoluta; la Sicilia ha il primato tra le regioni italiane per livello di disuguaglianze sociali. Sono i numeri di un bollettino di guerra. Ma la crisi non è la sola responsabile di questa situazione. Essa ha colpito in una realtà già estremamente fragile, frutto dello sviluppo distorto degli scorsi decenni. Uno sviluppo che ha visto l’occupazione legata ad attività di mercato porsi ai posti più bassi in Italia, e in cui il pubblico ha speso di più rispetto ad altre regioni ma non ha sostenuto la crescita di solide attività di mercato con buone infrastrutture e servizi collettivi. Ha piuttosto favorito attività e occupazione direttamente dipendenti dalla spesa pubblica.
Eppure le risorse su cui puntare non mancavano: dall’agricoltura all’agroindustria, dai beni culturali e ambientali alle conoscenze custodite negli atenei e spendibili per incoraggiare la crescita di settori ad alta tecnologia. Tutto questo non è avvenuto, o è avvenuto solo in misura molto limitata, mentre la pervasività della politica e la sua colonizzazione dell’economia creavano corruzione, alimentavano occasioni per la crescita e la “modernizzazione” della criminalità e del sommerso, corrodevano i circuiti della rappresentanza politica. E così quando è arrivata la grande crisi, i contraccolpi sono stati più forti che in altre regioni, per la fragilità delle attività capaci di stare sul mercato e per l’inevitabile ridimensionamento della spesa pubblica.
Ma i lunghi e dolorosi anni della crisi, purtroppo non ancora del tutto superati, hanno portato anche a una scoperta imprevista. La domanda di beni e servizi sta cambiando. Si creano nuove occasioni per beni e servizi di qualità, alimentate anche dalla crescita di nuovi gruppi sociali più istruiti e con maggiori livelli di benessere, non solo nei paesi avanzati, ma anche in quelli emergenti. Cresce così la domanda di beni agricoli e dell’industria alimentare di qualità, ma anche quella di un turismo culturale che apprezza il patrimonio storico-artistico, specie laddove – come in Sicilia – si combina anche con un patrimonio ambientale straordinario. E aumentano le opportunità per prodotti ad alta tecnologia, che potrebbero avere importanti collegamenti con l’agricoltura, l’agroindustria, la valorizzazione e la fruizione dei beni culturali e ambientali.