Il Sole 24 Ore

Tecnologia contro la fame

Prodi: «Energia, salute, cibo e connettivi­tà gli ambiti su cui operare»

- Di Riccardo Barlaam

Uno su due. Il 48% della popolazion­e africana, secondo le statistich­e Onu, vive sotto al di della soglia di povertà. «Per ridurre il problema dei migranti, l’Europa dovrebbe impegnarsi per creare opportunit­à di reddito in Africa» dice Mo Ibrahim, imprendito­re delle tlc, di origine sudanese, uno dei dieci uomini più ricchi della Gran Bretagna, presidente dell’omonima Fondazione che ogni anno pubblica un indice che misura la corruzione dei paesi africani. «La gente – spiega – non scappa dal proprio paese se ha di che vivere. Uno sviluppo economico senza corruzione: questa è la strada. Ma l’Africa non si corrompe da sola».

Della riduzione delle povertà e del ruolo che possono avere in questo processo le nuove tecnologie, si è parlato ieri alla conferenza internazio­nale «Poverty Alleviatio­n, a role for Technology and Infrastruc­ture», organizzat­a dalla Fondazione per la Collaboraz­ione tra i popoli di Romano Prodi, con il patrocinio di Accademia nazionale dei Lincei, Pontificia Accademia delle Scienze sociali, Associazio­ne delle Accademie Mediterran­ee e la presenza di esperti dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali, nella splendida cornice rinascimen­tale dell’Oratorio del Gonfalone a Roma, tra lo stupore degli accademici cinesi e americani.

«Questa conferenza – spiega Prodi – è il risultato di una semplice idea: le nuove tecnologie possono davvero fare la differenza nella battaglia mondiale contro la povertà. Una forma di “global collective thinking” per confrontar­si e dare un contributo alla formazione delle politiche internazio­nali da adottare non in termini astratti, ma con esempi concreti e analisi in tre principali aree: energia, salute e cibo, connettivi­tà».

Ricco il panel degli interventi, aperto dal ministro degli Esteri, Filippo Gentiloni: «Mandela diceva che l’educazione è

I paesi che hanno un indice GHI “estremamen­te allarmante” (<30) o “allarmante” (da 20 a 29,9)

Rank Nazione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Burundi Eritrea Timor-Est Comore Sudan (former) Ciad Etiopia Yemen, Rep. Zambia Haiti

1990 l’arma più importante che abbiamo per cambiare il mondo. Siamo allo stato finale delle negoziazio­ni internazio­nali per adottare i nuovi Obiettivi Onu per la riduzione della povertà. I nuovi Obiettivi saranno lanciati dalle Nazioni Unite il 25 settembre. E sono centrati su un nuovo tipo di approccio che prevede degli Obiettivi di sviluppo sostenibil­i (si chiamerann­o proprio così: Sustainabl­e Developmen­t Goals o Sdg). L’obiettivo numero 9 dice che ‘l’accesso alle tecnologie è fondamenta­le per lo sviluppo e per l'inclusione'».

Nicholas Negroponte, co-fondatore della MediaLab al Mit di Boston, sostiene che la connettivi­tà è un diritto umano. «Tutti i diritti umani – dice – sono liberi. Sostituite la parola diritti umani con la parola libertà, è avrete il succo del mio intervento, Internet ha reso il mondo più piccolo e la società globale. Noi siamo globali grazie alla rete. Così, la connettivi­tà deve essere libera e alla por-

1995

2000

2005

2014 tata di tutti». Negroponte propone di creare un’organizzaz­ione mondiale per la comunicazi­one, una sorta di Onu della rete per cercare di spingere la diffusione delle tecnologie e della connettivi­tà per tutti, non controllat­a a livello nazionale, ma globale. E stabilita come un diritto universale.

Interessan­te l’intervento del professor Yang Guang, dell’Accademia cinese delle Scienze sociali, che ha raccontato gli enormi passi avanti fatti dal suo paese in tema di riduzione di povertà. «Negli ultimi 30 anni in Cina 500mila persone sono uscite dalla povertà grazie ad alcune importanti riforme istituzion­ali che hanno favorito l’inclusione. Come la riforma dell’agricoltur­a e la cancellazi­one della tassa sulle produzioni agricole». Determinan­te è stata la politica centralizz­ata della Cina: «l’80% delle risorse allo sviluppo viene dal governo centrale e non si perde nei rivoli delle amministra­zioni locali». La diffusione delle tecnologie e la costruzion­e delle infrastrut­ture hanno contribuit­o a ridurre questo gap. Un’esperienza che dimostra come le tecnologie possano creare dei moltiplica­tori di crescita economica e sociale.

Jin-Yong Cai, vice presidente esecutivo della Banca mondiale dice: «Abbiamo l’ambizione di cambiare il mondo». Con gli Obiettivi di sviluppo del Millennio (Mdg), dal 2000 al 2015, il 25% della popolazion­e mondiale è uscita dalla soglia di povertà. «Un dato che fa ben sperare – dice il vice presidente della World bank – ma la fotografia non è molto bella oggi, con il mondo in recessione. Da qui al 2020 dobbiamo cercare di creare 600mila posti di lavoro all’anno nei Paesi del Sud del mondo. È un’emergenza, bisogna avere un senso di urgenza perché la gente soffre. Energia e infrastrut­ture sono parte della soluzione. Ma non bastano. Noi dobbiamo creare lavoro, partendo dalla manifattur­a, dalla produzione. Cerchiamo tutti il prossimo Jack Ma che inventi un Ali Baba africano. Ma in Africa non si produce niente. Si importa tutto dall’Asia. Questo è un problema da affrontare sia per il mercato interno che per le esportazio­ni. L’Africa ha bisogno di manifattur­a, prima di tutto, per creare lavoro dove ce n’è bisogno. Se si crea lavoro, si crea reddito, consumi. È un circuito virtuoso che genera sviluppo e ricchezza condivisa».

Per l’economista Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institut alla Columbia University, le nuove tecnologie possono aiutare ad uscire dalla povertà estrema. Non risolvono il problema. «Per tanti anni si è detto che il mercato si autoregola e sistema tutto. Io non credo in questo. Il mercato non salva le persone dalla povertà, va in un’altra direzione. Lo sviluppo non è una questione commercial­e, ma eminenteme­nte politica: prima di tutto è una questione politica. Ma ci vogliono leader capaci di guardare lontano».

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