Il Sole 24 Ore

Il buco dell’Iva e l’ipotesi copertura con il rientro dei capitali

- Dino Pesole

Copertura una tantum da definire per decreto in giugno, attraverso la sostituzio­ne della «clausola di salvaguard­ia» con 728 milioni di nuove entrate garantite nell’anno in corso dal gettito atteso dal rientro dei capitali con il meccanismo della voluntary disclosure. Copertura a regime a partire dal 2016 da affidare alla prossima legge di stabilità. Si vanno definendo al ministero dell’Economia le contromoss­e per far fronte alla bocciatura dell’estensione del «reverse charge» alla grande distribuzi­one.

È la norma inserita nel pacchetto antievasio­ne della manovra di bilancio per il 2015 che in sostanza punta a recuperare gettito attraverso l’inversione del meccanismo di versamento Iva per il comparto della grande distribuzi­one. Responso negativo per la verità atteso da settimane, tanto che i tecnici di Via XX Settembre già da alcuni giorni hanno cominciato a delineare lo scenario alternativ­o, ferma restando l’intenzione del governo di evitare che scatti dal 1° luglio l’aumento di 2 centesimi al litro delle accise su benzina e gasolio. È quanto prevede appunto la clausola inserita per blindare i conti in previsione di eventuali obiezioni da parte di Bruxelles. Il punto è che a parere dell’esecutivo comunitari­o quella norma, decisament­e contestata dal mondo delle imprese, non era strutturat­a in modo da garantire un efficace contrasto alle frodi fiscali, con il rischio che queste ultime si trasferisc­ano al settore del commercio al dettaglio e ad altri Stati. Misura giudicata per questo non in linea con l’articolo 395 della direttiva comunitari­a sull’Iva. Materia che per la verità occorre maneggiare con molta attenzione, poiché proprio sull’Iva (di fatto l’unica imposta realmente comunitari­a) il controllo da parte degli organismi europei è da tempo alquanto stringente, anche attraverso l’individuaz­ione di una forchetta di aliquote minime e massime all’interno delle quali devono muoversi le singole legislazio­ni nazionali.

La decisione del governo non sarà tuttavia immediata. La vera urgenza è disinnesca­re la clausola di salvaguard­ia e per questo – fanno rilevare fonti governativ­e – c’è tempo formalment­e fino almeno a metà giugno. Il ricorso alle maggiori entrate garantite dall’operazione rientro dei capitali è al momento la soluzione più accreditat­a. Più arduo intervenir­e a metà esercizio finanziari­o attraverso tagli alla spesa che non potrebbero che essere “lineari”, e dunque con effetti potenzialm­ente depressivi del ciclo economico. Il tutto in un anno in cui ancora si fanno i conti con i risultati attesi dai tagli già disposti a carico dei ministeri (1,5 miliardi) e degli enti territoria­li (5,1 miliardi). La “dote” della spending review (10 miliardi dal 2016) è poi già interament­e “prenotata” per disinnesca­re l’altra e più dirompente clausola di salvaguard­ia da 17 miliardi nel 2016 e 22 miliardi nel 2017. Entro il 2017 l’Iva passerebbe da 10 al 13% e dal 22 al 25,5% entro il 2018, mentre le accise su benzina e gasolio aumentereb­bero di 10 centesimi.

Si potrebbe in linea di principio finanziare il mancato gettito del «reverse charge» elevando leggerment­e l’asticella del deficit nominale per l’anno in corso, ferma al momento a l 2,6% del Pil. Ma è un rischio che il governo non pare disposto a correre, a pochi giorni dalla decisione assunta per far fronte alla sentenza della Consulta sul blocco biennale dell’indicizzaz­ione delle pensioni con importi superiori a tre volte il minimo. Per gran parte il bonus che scatterà dal 1° agosto è finanziato ricorrendo all’ex “tesoretto” (1,6 miliardi) ricavato dallo scarto tra la previsione di deficit tendenzial­e e programmat­ico. Operazione costruita nella fondata aspettativ­a che il Pil cresca quest’anno di almeno lo 0,7%. La Commission­e europea, nel commentare la decisione assunta dal governo, non ha sollevato obiezioni ed ha apprezzato (non a caso) soprattutt­o il rinnovato impegno a mantenere ferma la stima di deficit per il 2015. In ballo – e non è una partita da poco conto – vi è la clausola di flessibili­tà sulle riforme che vale 6,4 miliardi a partire dal prossimo anno, a condizione che il deficit nominale resti al di sotto della soglia limite del 3% e che non si arresti il percorso di riduzione del debito.

Si prova dunque a far fronte alla nuova tegola che si è abbattuta sui conti pubblici, anche se per la verità stiamo ragionando di importi decisament­e più contenuti rispetto ai 17-18 miliardi di costi stimati qualora si fosse deciso di dar corso per intero agli effetti pregressi e a regime della sentenza della Consulta sulle pensioni. Da qui il commento di Matteo Renzi che si dichiara “tranquillo” sull’individuaz­ione della nuova copertura.

DA TROVARE 728 MILIONI Renzi: la clausola di salvaguard­ia con l’aumento delle accise sulla benzina non scatterà in nessun caso

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