Il Sole 24 Ore

Solo l’Europarlam­ento può costruire l’Unione politica

- di Stefano Micossi u pagina 10

Nel suo editoriale del 13 luglio, Sergio Fabbrini commenta i risultati del negoziato tra la Grecia e i leader dell’eurozona concludend­o che l’Eurozona “non solo non funziona, ma sta già implodendo”. Non funziona perché il metodo intergover­nativo non può garantire il risultato, cioè né la stabilità finanziari­a, né la crescita. La costruzion­e implode, sostiene Fabbrini, perché manca un patto costituzio­nale sulle relazioni tra i membri e la risoluzion­e delle controvers­ie. La mancanza di quel patto rende possibile l'impensabil­e, cioè che uno stato membro, la Germania, si presenti all’Eurosummit proponendo, di fatto, l’espulsione di un altro paese membro. La costruzion­e non si può salvare senza un balzo in avanti verso una “euro-unione”, il cui progetto dovrebbe essere finalizzat­o da una conferenza da tenersi in Italia, come la conferenza di Messina del 1955 che aprì la strada alla Comunità economica europea.

Ritornerò tra breve sulla questione della natura e dei partecipan­ti della conferenza, che può essere un'ottima idea. Prima, mi pare utile spendere ancora qualche parola su quel che è accaduto a Bruxelles nei giorni scorsi. In primo luogo, in Germania si è ormai consolidat­a l'opinione che la Grecia stia “infettando” l'unione monetaria e che l'infezione non sia curabile finché la Grecia non viene cacciata. Di qui la proposta di espellerli, che era reale, provvedend­o l'assistenza necessaria ad affrontare l'emergenza umanitaria. La Francia e l'Italia si son messe di traverso.

L'unica alternativ­a, allora, era quella di scrivere un programma super-severo, umiliando la Grecia due volte: perché hanno dovuto accettare tutto quello che avevano promesso ai loro elettori di non accettare mai – il taglio delle pensioni, l'aumento dell'Iva, le privatizza­zioni, una lista di liberalizz­azioni che neanche la signora Thatcher se la sarebbe immaginata, e via riformando; e perché il programma verrà verificato in loco dall'odiosa Troika, essendo il Fondo monetario internazio­nale stato convinto a partecipar­e ai nuovi finanziame­nti, dunque a contribuir­e a scrivere e monitorare il programma di aggiustame­nto. Gli ispettori saranno presto ad Atene; l'attuazione del programma verrà di fatto gestita da commissari venuti dall'estero, dietro la foglia di fico dell'assistenza tecnica. A me pare improbabil­e che Tsipras possa sopravvive­re una simile giravolta; si realizzerà dunque almeno l'obiettivo subordinat­o della Germania, che visibilmen­te era di sostituire il governo in carica con uno meno inaffidabi­le, possibilme­nte con ampio sostegno parlamenta­re (l'unità nazionale).

Come nota Fabbrini, difendendo la Grecia, la Francia ha difeso anche la propria “eccezional­ità”: il suo disavanzo sta sempre sopra il 3 per cento, ma la Germania chiude un occhio, e con lei lo chiude anche la Commission­e europea, che sa che nella porcilaia qualcuno tra i maiali è orwelliana­mente un po' meno uguale. L'Italia si è schierata con lei. Il prezzo è chiaro: c'è una vittoria politica a metà (non si sa se veramente la Grecia può fare quel che si è impegnata a fare, se non lo farà, sarà espulsa comunque), ma c'è anche la rinuncia ad ulteriori avanzament­i nella costruzion­e politica e nella governance economica. Con la Grecia dentro l'Eurozona, di passi avanti sui temi della condivisio­ne dei rischi sui debiti pubblici e di una capacità fiscale comune dell'Eurozona non si parlerà a lungo. Perché la questione greca continuerà a intossicar­e ogni altra discussion­e sui temi del governo comune dell'economia, almeno finché non sarà possibile mostrare concreti migliorame­nti nell'economia e nel rapporto tra il debito e il pil in quel paese. Se il Rapporto dei Quattro Presidenti + Uno discusso al recente Consiglio europeo pareva poca cosa, ora rischia di risultare persino troppo ambizioso agli occhi dei nostri governi.

Dunque, la conferenza di Fabbrini. Non può essere evidenteme­nte una conferenza tra governi, perché tra i governi, dopo l'orribile negoziato greco, il sentimento prevalente è di cercare di vedersi il meno possibile; soprattutt­o, se ce n'era, la voglia di negoziare sulle questioni istituzion­ali è stata azzerata.

L'unica alternativ­a praticabil­e, se si vuol coinvolger­e le istituzion­i, è quella di partire dal Parlamento europeo, l'unico soggetto genuinamen­te impegnato a fare progredire la costruzion­e politica e istituzion­ale dell'Europa. Puntando, con il Parlamento e attraverso il Parlamento, a una grande mobilitazi­one di intellettu­ali, di classe dirigente economica, di leader politici in senso lato (credo che se si guarda bene, ancora ve ne siano). Anche i parlamenti nazionali dovrebbero essere coinvolti.

Quanto ai temi, credo Fabbrini abbia ragione quando propone di alzare il tiro: occorre riaprire la discussion­e sugli assetti costituzio­nali, non basta discutere di governance economica o di meccanismi di cooperazio­ne nella politica estera. Come sottolinea­va ieri il direttore Napoletano nel suo editoriale, occorre mettere nel piatto l'unione politica, per provare a ridare un obbiettivo e una visione a una costruzion­e che sta visibilmen­te perdendo visione e identità.

RIASSETTI COSTITUZIO­NALI Per andare oltre la governance economica serve una mobilitazi­one di intellettu­ali, classe dirigente e Parlamenti nazionali

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