Solo l’Europarlamento può costruire l’Unione politica
Nel suo editoriale del 13 luglio, Sergio Fabbrini commenta i risultati del negoziato tra la Grecia e i leader dell’eurozona concludendo che l’Eurozona “non solo non funziona, ma sta già implodendo”. Non funziona perché il metodo intergovernativo non può garantire il risultato, cioè né la stabilità finanziaria, né la crescita. La costruzione implode, sostiene Fabbrini, perché manca un patto costituzionale sulle relazioni tra i membri e la risoluzione delle controversie. La mancanza di quel patto rende possibile l'impensabile, cioè che uno stato membro, la Germania, si presenti all’Eurosummit proponendo, di fatto, l’espulsione di un altro paese membro. La costruzione non si può salvare senza un balzo in avanti verso una “euro-unione”, il cui progetto dovrebbe essere finalizzato da una conferenza da tenersi in Italia, come la conferenza di Messina del 1955 che aprì la strada alla Comunità economica europea.
Ritornerò tra breve sulla questione della natura e dei partecipanti della conferenza, che può essere un'ottima idea. Prima, mi pare utile spendere ancora qualche parola su quel che è accaduto a Bruxelles nei giorni scorsi. In primo luogo, in Germania si è ormai consolidata l'opinione che la Grecia stia “infettando” l'unione monetaria e che l'infezione non sia curabile finché la Grecia non viene cacciata. Di qui la proposta di espellerli, che era reale, provvedendo l'assistenza necessaria ad affrontare l'emergenza umanitaria. La Francia e l'Italia si son messe di traverso.
L'unica alternativa, allora, era quella di scrivere un programma super-severo, umiliando la Grecia due volte: perché hanno dovuto accettare tutto quello che avevano promesso ai loro elettori di non accettare mai – il taglio delle pensioni, l'aumento dell'Iva, le privatizzazioni, una lista di liberalizzazioni che neanche la signora Thatcher se la sarebbe immaginata, e via riformando; e perché il programma verrà verificato in loco dall'odiosa Troika, essendo il Fondo monetario internazionale stato convinto a partecipare ai nuovi finanziamenti, dunque a contribuire a scrivere e monitorare il programma di aggiustamento. Gli ispettori saranno presto ad Atene; l'attuazione del programma verrà di fatto gestita da commissari venuti dall'estero, dietro la foglia di fico dell'assistenza tecnica. A me pare improbabile che Tsipras possa sopravvivere una simile giravolta; si realizzerà dunque almeno l'obiettivo subordinato della Germania, che visibilmente era di sostituire il governo in carica con uno meno inaffidabile, possibilmente con ampio sostegno parlamentare (l'unità nazionale).
Come nota Fabbrini, difendendo la Grecia, la Francia ha difeso anche la propria “eccezionalità”: il suo disavanzo sta sempre sopra il 3 per cento, ma la Germania chiude un occhio, e con lei lo chiude anche la Commissione europea, che sa che nella porcilaia qualcuno tra i maiali è orwellianamente un po' meno uguale. L'Italia si è schierata con lei. Il prezzo è chiaro: c'è una vittoria politica a metà (non si sa se veramente la Grecia può fare quel che si è impegnata a fare, se non lo farà, sarà espulsa comunque), ma c'è anche la rinuncia ad ulteriori avanzamenti nella costruzione politica e nella governance economica. Con la Grecia dentro l'Eurozona, di passi avanti sui temi della condivisione dei rischi sui debiti pubblici e di una capacità fiscale comune dell'Eurozona non si parlerà a lungo. Perché la questione greca continuerà a intossicare ogni altra discussione sui temi del governo comune dell'economia, almeno finché non sarà possibile mostrare concreti miglioramenti nell'economia e nel rapporto tra il debito e il pil in quel paese. Se il Rapporto dei Quattro Presidenti + Uno discusso al recente Consiglio europeo pareva poca cosa, ora rischia di risultare persino troppo ambizioso agli occhi dei nostri governi.
Dunque, la conferenza di Fabbrini. Non può essere evidentemente una conferenza tra governi, perché tra i governi, dopo l'orribile negoziato greco, il sentimento prevalente è di cercare di vedersi il meno possibile; soprattutto, se ce n'era, la voglia di negoziare sulle questioni istituzionali è stata azzerata.
L'unica alternativa praticabile, se si vuol coinvolgere le istituzioni, è quella di partire dal Parlamento europeo, l'unico soggetto genuinamente impegnato a fare progredire la costruzione politica e istituzionale dell'Europa. Puntando, con il Parlamento e attraverso il Parlamento, a una grande mobilitazione di intellettuali, di classe dirigente economica, di leader politici in senso lato (credo che se si guarda bene, ancora ve ne siano). Anche i parlamenti nazionali dovrebbero essere coinvolti.
Quanto ai temi, credo Fabbrini abbia ragione quando propone di alzare il tiro: occorre riaprire la discussione sugli assetti costituzionali, non basta discutere di governance economica o di meccanismi di cooperazione nella politica estera. Come sottolineava ieri il direttore Napoletano nel suo editoriale, occorre mettere nel piatto l'unione politica, per provare a ridare un obbiettivo e una visione a una costruzione che sta visibilmente perdendo visione e identità.
RIASSETTI COSTITUZIONALI Per andare oltre la governance economica serve una mobilitazione di intellettuali, classe dirigente e Parlamenti nazionali