Se ai mercati piace chi sparge certezze
Un colpo al cerchio e uno alla botte. La settimana scorsa la Fed aveva lasciato invariati i tassi citando le incognite nel resto del mondo. Ieri Janet Yellen ha spostato il mirino su considerazioni più domestiche e si è schierata fra i fautori di un rialzo entro l’anno. La settimana scorsa i mercati, che prima della decisione sembravano auspicare tassi fermi, si erano invece indeboliti dopo l’annuncio. Ieri, dopo la conferma di un rialzo prossimo venturo, invece festeggiano.
Insomma, cosa vogliono? In verità, c’è del metodo nella pazzia. Perché quel che aborrono è soprattutto l’incertezza. Era facile argomentare che un “no” al rialzo dei tassi avrebbe solo spostato l’ansia verso la prossima riunione del Fomc. È meglio spargere certezza invece di perpetuare l’angosciosa attesa, ed è quel che ha fatto la presidente della Fed.
Ciò detto, qual è la misteriosa ragione per la quale gli operatori, seduti sull’orlo della sedia e rosicchiandosi le unghie, si struggono per sapere se il costo a breve del danaro andrà dallo 0,10 allo 0,30 per cento? Anche qui, c’è del metodo nello struggimento. Come una ciliegia tira l’altra, un rialzo è il primo di una serie, e gli operatori lo vedono come un passaggio del Rubicone. Su questo punto la Yellen ha però offerto numerose rassicurazioni (per la verità già più volte offerte ma, si sa, repetita juvant). Ha detto che, una volta il dado tratto, non è detto che la marcia verso tassi più alti continui, che tutto dipenderà dai dati della congiuntura, che il cammino sarà graduale, e in ogni caso il punto di arrivo – la “normalizzazione” dei tassi – non sarà più come prima. Il “normale” è in effetti cambiato, per svariate ragioni: i tassi potenziali di crescita sono più modesti di prima, nel mondo c’è un eccesso di risparmio, l’inflazione non solo è più bassa ma è meno variabile (abbassando il premio di rischio)... Di conseguenza, il tasso-guida di interesse non deve necessariamente tornare ai livelli del passato.
Ma l’allegrezza dei mercati è anche dovuta al giudizio implicito sulla saldezza della ripresa Usa: ci possiamo permettere di alzare i tassi perché l’economia va bene. Il che è una buona notizia, non solo per l’America.