A Tokyo torna la deflazione
Per la prima volta dall’aprile 2013 segno meno ad agosto davanti all’indice dei prezzi
Non succedeva dall’aprile 2013. Il Giappone è tornato in deflazione con un indice “core” che ad agosto ha registrato -0,1 per cento. È molto lontano il target ufficiale del 2% fissato dalla Banca centrale.
Non accadeva dall’aprile 2013, il mese in cui il neogovernatore della Banca del Giappone Haruhiko Kuroda varò una sorprendente politica monetaria di allentamento quantitativo e qualitativo, con l’obiettivo dichiarato di una inflazione al 2% entro due anni: la deflazione è tornata a mordere in Giappone, con un indice “core” a -0,1% in agosto (e -0,2% per l’area di Tokyo a settembre) che fa suonare ridicolo il target ufficiale, per il cui raggiungimento Kuroda aveva dichiarato di esser pronto a «whatever it takes».
La notizia arriva in contemporanea all’annuncio di una “fase due” dell’Abenomics con cui il premier Shinzo Abe fissa un altro target che sa un po’ di ambizione e un po’ di anticipato slogan eletto- ralistico per il voto del 2016 alla Camera Alta: far aumentare il Pil nominale di oltre il 20% a 600mila miliardi di yen, il che comporta una reflazione dell’economia. Fresco della reinvestitura senza rivali alla guida del partito - ma anche di un netto calo di consensi popolari legato all’ostinata promozione della nuova e controversa politica di “Difesa collettiva” - Abe ha avuto l’accortezza (o la faccia tosta) di non indicare alcuna data per questo obiettivo di espansione economica. Così eviterà di dover, come Kuroda, cercare giustificazioni per periodici prolungamenti del lasso di tempo presumibile al fine di conseguire il rotondo target. La scusa principale (e con fondamento) è il calo dei prezzi del petrolio, da accompagnare all’ottimismo sul «trend fondamentale»: l’inflazione “core core” – che esclude an- che i prezzi dell’energia oltre agli alimentari – si è infatti attestata a +0,8% in agosto, dopo il +0,6% di luglio. Ad ogni modo, «ormai è impensabile che il tasso di inflazione vada al 2% entro un anno, tanto più che l’economia si sta fermando», commenta Hiroshi Watanabe, senior economist a SMBC Nikko Securities. Come altri analisti, Watanabe ritiene che la BoJ andrà sotto pressione per introdurre ulteriori allentamenti monetari.
Il primo ottobre il sondaggio Tankan probabilmente evidenzierà un indebolimento della fiducia delle imprese e alla fine del mese la BoJ difficilmente potrà evitare una nuova revisione al ribasso dello scenario per Pil e prezzi, anche alla luce delle ridotte prospettive della crescita globale. Il terzo trimestre si preannuncia debole e non è da escludere un segno nega- tivo che ripiomberebbe il Paese in recessione (dopo il -1,6% annualizzato del Pil del secondo trimestre). Senonché, per la BoJ, gli spazi per nuovi allentamenti sono ristretti e in ogni caso di dubbia efficacia, il che si somma alla difficoltà rappresentata da una eventuale mossa opposta della Fed (rialzo dei tassi Usa) entro fine anno: una eventuale divergenza di politiche monetarie rilancerebbe l’accusa a Tokyo di promuovere la svalutazione dello yen.
D’altra parte, il ministero delle Finanze si oppone a una nuova manovra di stimoli fiscali, tanto più dopo il fresco declassamento del debito sovrano effettuato da Standard & Poor’s, che ha tolto al Giappone la “doppia A” manifestando seri dubbi su una Abenomics che in due anni e mezzo ha fatto crescere l’economia solo del 2,3 per cento in totale. Abe non ha parlato di budget supplementari, ma non è del tutto escluso che la questione possa tornare d’attualità, dopo il rimpasto governativo che varerà agli inizi di ottobre al ritorno dall’Assemblea generale dell’Onu. Il premier ha indicato piuttosto tre nuove “frecce” per la fase 2 che appaiono come generiche aspirazioni: promozione del Pil nominale, dei servizi per il welfare e della fertilità femminile. Rilanciare la produttività, insomma, eliminando il crescente fenomeno dell’abbandono forzato dell’occupazione per necessità di assistere parenti anziani (150mila sono in lista d’attesa per ricoveri in strutture di assistenza), promuovendo inoltre il lavoro di donne e pensionati. La mania di fissare target un po’ a vanvera colpisce ancora. Abe ha introdotto quello di al- zare il tasso di fertilità per donna all’1,8% dall’attuale 1,42%, per conseguire un altro target: stabilizzare la popolazione giapponese poco sopra i 100 milioni (dal livello attuale sopra i 127 milioni) tra 50 anni. Non ci saranno medagliette per le madri prolifiche come negli anni Trenta in Italia, ma saranno finanziati i trattamenti di fertilità. Dubbio il risultato complessivo, tanto più che a fine mese scatta una misura che pone a rischio di licenziamento dopo tre anni più numerosi lavoratori a tempo determinato (per molti, il fattore chiave che scoraggia matrimoni e gravidanze sta nell’ampliamento dell’area del precariato). Sull’immigrazione, in campo solo una modesta apertura per lavoratori qualificati. Al Palazzodi Vetro, martedì Abe annuncerà più yen per aiutare i rifugiati siriani, ma non la disponibilità ad accoglierne un congruo numero in un Giappone che finora ne ha ammessi solo tre.