«Più fondi per la cultura di qualità»
I Cavalieri del lavoro: privati in campo di fronte a progetti e governance di rilievo Workshop a Firenze della Federazione nazionale con cui s’inizia un tour per sensibilizzare sugli investimenti
p «Formazione, education e cultura rappresentano investimenti imprescindibili per il Paese. E considerare le risorse destinate alla cultura come costi anziché investimenti è miope e pericoloso». Antonio D’Amato, presidente della Federazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro, parla da Firenze, da quella città «esempio e testimonianza della cultura e dell’arte nel mondo» - come ha detto il presidente del Gruppo toscano dei Cavalieri del Lavoro, Cesare Puccioni in apertura dei lavori - e in quella Biblioteca degli Uffizi che toglie il fiato. «Qui, da questi scaffali, ci sono 40 secoli di storia che ci guardano», ha ricordato il padrone di casa, il direttore Claudio De Benedetto.
I Cavalieri del Lavoro partono da qui, da questi luoghi in cui arte e cultura si respirano, per una serie di incontri su “Tutela e valorizzazione del patrimonio culturale”.
Da dove iniziare? D’Amato non ha dubbi: il problema nella gestione dei beni culturali nel nostro Paese «dove è concentrato oltre il 50 per cento del patrimonio culturale mondiale, non è di soldi, ma di governance». Certo, ha aggiunto, «la dichiarata centralità che la cultura assume nella politica riformista del governo è sicuramente un segno di novità dopo anni di colposa e grave latitanza». Ma «non basta l’Art Bonus che pure è cosa giusta o la selezione di qualche direttore di livello internazionale, peraltro con procedure e criteri non del tutto condivisi. Occorre disegnare un grande progetto Paese nel quale la cultura sia al tempo stesso un motore di sviluppo e patrimonio da tutelare». In tutto questo, «i vincoli di bilancio e il peso del debito pubblico non possono fornire alibi». Del resto, anche «i privati sono disponibili a mettere risorse. Ma solo se c’è una governance adeguata, di qualità, che garantisca che le risorse spese e investite siano destinate a progetti di qualità e mantenuti nel tempo da professionisti in un quadro di trasparenza». In conclusione «sulla cultura occorre investire, perché solo così si ha un Paese all’altezza delle proprie responsabilità e capace di costruire il proprio futuro».
La Federazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro parte quindi con un’operazione di sensibilizzazione che si tradurrà in altri incontri in giro per l’Italia. Prossime tappe: Perugia, Napoli, Venezia. Al centro delle discussioni quello che è definito il petrolio, ma che rap- presenta anche un’emergenza per il Paese: un patrimonio culturale ricchissimo, ma troppo spesso pericolosamente sospeso nella ricerca di un equilibrio fra tutela e valorizzazione. Concetti sovente armati l’un contro l’altro, ma per i quali «una dicotomia, specie se applicata in modo burocratico, può portare a enormi storture», ha detto il sindaco di Firenze, Dario Nardella. Ma pur considerando che «la sfida di un sistema fiscale dove pubblico e privato non si guardano in cagnesco è ancora da vincere», Nardella è convinto che «pubblico e privato possono parlare lo stesso linguaggio se sono d’accordo sulla finalità generale, cioè l’interesse generale». In questo senso, «la sfida è capire a che cosa servirà l’autonomia» dice Luigi Abete - intervenuto durante il workshop insieme con gli altri cavalieri del lavoro Franco Bernabè, Francesco Merloni e Lorenzo Sassoli de Bianchi, oltre che presidente della Bnl - fa- cendo riferimento alla riforma dei musei targata Franceschini. «Se servirà come io spero a migliorare le risorse che i musei possono trattenere perché vengono corresponsabilizzati e quindi aumentano le risorse, questo sarà un fatto positivo», ha commentato Abete che ha anche parlato del progetto riguardante un museo nell’area della stazione Tiburtina con le 5mila opere d’arte appartenenti al patrimonio Bnl.
Intanto però l’Italia perde posizione nelle classifiche dei Paesi con più appeal. Qui è Franco Bernabè a ricordare il risultato del rapporto “Country Brand Index”: l’Italia era prima nel 2006 mentre «ora siamo al 18esimo posto». Sui motivi Bernabè punta l’indice su tre aspetti, oltre alla penuria di risorse: «C’è l’assenza di ambizione e di grandi progettualità», ha spiegato mettendo sull’altro piatto della bilancia l’investimento strategico francese sul Louvre, ma anche «una scarsa attenzione alla contemporaneità con solo 900mila euro destinati in bilancio all’arte contemporanea» e «una retorica che non ci fa vedere i problemi» a monte, come ad esempio «un più basso tasso di scolarità superiore rispetto alla media Ocse». Certo, il problema fondi rimane sempre lì. Lorenzo Sassoli de Bianchi ha ricordato come «negli ultimi 5 anni le risorse destinate al Mibact siano calate del 23,7%». E si parla di un qualcosa che incide per lo 0,19% sul totale», ha aggiunto il presidente Valsoia e Upa ricordando l’avvio del progetto (presentazione 21 ottobre) “Upaperlacultura”: un portale per mettere in contatto domanda e offerta di investimento.
«Cultura e sviluppo economico sono due facce di una stessa medaglia. La cultura può dare una spinta all’economia e lo sviluppo economico crea mezzi, ambiente e possibilità per fare investimenti», ha detto Francesco Merloni, fondatore dell’Ariston Thermo Group. Il Paese non aspetta altro.
LE ALTRE TAPPE A Perugia, Napoli e Venezia perché lo sviluppo economico possa trarre beneficio da un rinnovato rapporto con il patrimonio culturale