Cyberwar e clima, intesa Usa-Cina
Pechino lancia un nuovo programma di riduzione delle emissioni di CO2
Un accordo fra Pechino e Washington per evitare il dilagare della pirateria informatica è stato raggiunto ieri alla Casa Bianca, ma non c’è dubbio che il vertice Barack Obama Xi Jinping sia stato un G2 “muscolare”, soprattutto da parte americana, con il presidente Usa pronto, al di là delle buone intenzioni, a introdurre sanzioni se la Cina non manterrà i suoi impegni nella lotta contro lo spionaggio industriale via internet.
Sul piano formale, la cosa importante è che un accordo per considerare le piraterie informatiche come atti illegali c’è stato. Lo stesso Xi, persino prima di arrivare a Washington, dopo aver ascoltato i virulenti attacchi del capo del consiglio per la Sicurezza Nazionale Susan Rice aveva detto: «Per noi gli atti di pirateria sono atti criminali, li perseguiamo e continueremo a perseguirli, certamente non appartegono alle attività del nostro governo». Su queste basi dunque, l’accordo c’è stato e lo stesso presidente americano ha espresso parole di apprezzamento per il risultato. «Avremo le nostre forze dell’ordine e i nostri magistrati al lavoro insieme, abbiamo organizzato procedure per scambio di informazioni», ha detto Obama. Ma poi ha aggiunto: «Adesso dobbiamo passare dalle parole ai fatti. Ho indicato al presidente cinese che la prassi del furto via internet deve finire e che, se necessario, ci vedremo costretti ad adottare delle sanzioni contro individui o contro aziende che dovessero risultare colpevoli di queste infrazioni».
Parole dure a fronte di un atteggiamento fermo ma più accomodante di Xi: «Non credo che la politica del confronto o della frizione sia quella più giusta», ha detto il leader cinese in risposta alle parole dure d Obama, negando indirettamente che il governo cinese potesse essere dietro gli attacchi in larga scala come quello che ha portato al furto di dati di 22 milioni di persone dalle banche dati dell’Ufficio per la gestione del bilancio americano. La fermezza di Obama dimostra secondo fonti informate a Washington due cose, la prima è che l’America avrebbe le prove del coinvolgimento diretto del governo cinese in alcune attività passate, la seconda che il danno economico di operazioni di hackeraggio danni e spionaggio industriale ha un costo potenziale enorme che le aziende americane non intendono più sostenere o correre il rischio di sostenere.
Che questo dossier fosse in testa alla lista delle decine e decine di questioni bilaterali e multilaterali dà anche la misura di quanto il problema sia serio per tutti. Anche in Europa e in Italia siamo esposti al rischio di attacchi nel cyberspazio e non necessariamente soltanto dalla Cina, ma non siamo ancora entrati, soprattutto a livello di protezione “firewalls” e programmi antibachi per le singole aziende nel territorio avanzato in cui già dovremmo essere al di là degli accordi multilaterali, che offrono garanzie soltanto fino a un certo punto. Come quello aggiuntivo sottoscritto ieri da Cina e Stati Uniti e già adottato alle Nazioni Unite che impegna i firmatari a non attaccare in tempo di pace le infrastrutture centrali per il funzionamento delle economie, dalle centrali elettriche ai programmi che regolano le transazioni finanziarie i pagamenti e i settlements o le infrastrutture di comunicazione cellulare.
L’altro accordo importante sempre con risvolti economici rigurda l’ambiente. Dopo i progressi al vertice dell’anno scorso a Pechino quando i due Paesi hanno sottoscritto la riduzione di emissioni per il periodo successivo agli obiettivi del 2020, che coincidevano con i lavori in preparazione per il vertice di Parigi il prossimo dicembre, ieri Pechino ha accettato di introdurre la prassi del “Cap and Trade”. La tecnica consente di identificare livelli di emissione minimi per certi settori industriali e per il Paese nel suo insieme consentendo alle aziende in eccesso di emissione di acquistare diritti da coloro che hanno fatto meglio di quanto prestabilito. Il programma sarà lanciato nel 2017, coprirà le emissioni delle centrali elettriche delle produzioni di cemento, acciaio e altri settori industriali, da parte americana l’obiettivo è di ridurre le emissioni del 32% entro il 2030.
Sia Cina che Usa introdurrano attesi limiti per le emissioni dei veicoli industriali a partire dal 2016 e con applicazione finale entro il 2019. La Cina inoltre si è impegnata a finanziare con 3,1 miliardi di dollari i Paesi in via di sviluppo che hanno avuto finora molte difficoltà a trovare le risorse per adattare i loro impianti alle attese misure anti inquinanti.
Ma i due leader hanno parlato di tutto, hanno espresso fiducia sulla tenuta della ripresa economica mondiale, hanno discusso delle isole contese nei mari cinesi del sud e su questo Xi ha ripetuto che storicamente le isole sono cinesi e l’America non dovrebbe interferire; hanno discusso del recente accordo con l’Iran per la denuclearizzazione e dei problemi siriani e dei rifugiati in genere, hanno parlato dell’ingresso dello yuan nel paniere di valute che formano l’Sdr del Fondo Monetario Internazionale, cosa su cui l’America non è contraria se la Cina soddisferà certi requisiti di trasparenza economica. E Xi si è impegnato ad osservarli chiudendo con una considerazione di fondo, America e Cina possono fare molto per la stabilità mondiale se lavoreranno insieme: «Noi siamo per un approccio win win», ha detto Xi, cosa che va benissimo a Obama, purché i parametri di partenza coincidano con quelli di arrivo, senza trucchi.
EFFETTO SERRA Sarà adottato un sistema dove le aziende che superano i tetti alle emissioni potranno acquistare dei diritti da quelle che sono al di sotto