L’impatto di Expo e i tempi del «re-see»
«L’effetto Expo sugli incassi? Non certo grazie ai visitatori che non arrivano da Rho al centro. Comunque il mio negozio di via Monte Napoleone, sul cui rinnovo ho investito milioni di euro a fine aprile, ha aumentato le vendite del 50%, mentre l’Emporio Armani di via Manzoni viaggia a +5%».
Nel dibattito sulle ricadute dell’Esposizione universale su Milano irrompe Giorgio Armani che, nel backstage della collezione Emporio primavera-estate 2016, puntualizza che «in città c’è un fermento notevole che produce interesse, ma se abbiamo venduto di più è perché le collezioni erano più belle: insomma, mi aspettavo un ritorno importante».
A proposito di ritorni, ieri Instagram - il social media che ha preso il sopravvento nel mondo della moda - ha scandito il netto cambiamento sui comportamenti degli addetti ai lavori durante la fashion week. Nonostante nelle sale sfilate non si vedano più i numerosi vuoti del recente passato, riempiti con gli inviti agli studenti delle scuole di moda e ai parenti delle sarte, molti compratori e giornalisti, soprattutto dei magazine patinati, trascorrono buona parte della giornata nel cosiddetto re-see, dove si rivede la collezione da vicino: ieri il più frequentato è stato quello di Prada, che ha strappato gli applausi a scena aperta del pubblico. Non è una novità, del resto, che gran parte degli ordini (fino al 70%) della primavera 2016 sia già stato scritto da settimane.
Instagram piace ai fashion brand proprio perché non “filtra” nulla: su questo mezzo la critica non esiste, neppure velata, e ogni foto viene condita da pochi, entusiastici aggettivi ritenuti esaustivi per raccontare le collezioni. Ed è sempre Instagram a ospitare i seguitissimi fashion blogger, ambasciatori a pagamento dei marchi, ai quali un esercito di fotografi a caccia di tendenze dedica tale attenzione da rischiare di finire sotto le auto di passaggio all’entrata e all’uscita delle sfilate.
Un circo ridicolo, di cui si scrive ormai da anni, che non sembra purtroppo destinato a evaporare nel breve periodo. Ma tant’è. Quel che resta, dopo le prime tre giornate di Milano moda donna, sono tante belle collezioni, in cui il saper fare made in Italy fa la differenza. Su quasi tutte, ma non tutte, le passerelle. Qualche marchio ha bisogno di un deciso upgrade: chi non si differenzia rischia di soccombere, in un’arena competitiva dominata da colossi che possono investire decine o centinaia di milioni all’anno per catturare l’attenzione dei consumatori.