Appello dei direttori: «La riforma museale da sola non basta»
Il tavolo dei tecnici
pChi pensa che la riforma dei beni culturali firmata dal ministro Dario Franceschini – con l’Art bonus da una parte e l’autonomia data ai più importanti musei, alla cui guida sono in arrivo nuovi direttori, dall’altra – possa bastare a dare impulso alla valorizzazione delle opere d’arte e all’investimento dei privati, è fuori strada. Per i direttori di alcune prestigiose istituzioni museali, che ieri hanno partecipato al seminario sulla cultura organizzato a Firenze dalla Federazione nazionale dei cavalieri del lavoro, il lavoro da fare è ancora tanto e difficile, soprattutto perché manca il “faro” che dovrebbe illuminarlo.
«Per rendere efficace la riforma serve un grande progetto culturale che si leghi a un progettoPaese – ha spiegato Anna Coliva, direttore della Galleria Borghese – altrimenti continueremo solo a mangiare le briciole. L’Art bonus è importante, ma è un dettaglio».
Il progetto culturale “rivoluzionario” che ha in mente Coliva dovrebbe puntare su ricerca e innovazione nelle tecniche, nei materiali e nei contenuti, per fare della bellezza una industria creativa nazionale: ad esempio attraverso una grande riqualificazione delle periferie, che potrebbe anche far ripartire l’edilizia.
Il dilemma sul piatto è come fare a conciliare la tutela (obbligatoria) dei beni culturali con la valorizzazione (necessaria in tempi di risorse calanti): «La valorizzazione non si può limitare solo al profilo economico – ha affermato Antonio Natali, direttore della Galleria degli Uffizi in procinto di lasciare il posto al “nuovo corso” rappresentato dal tedesco Eike Schmidt – altrimenti il rischio è di avere una industria culturale rozza». Secondo Natali, tante delle mostre di oggi, da Botticelli a Van Gogh agli Impressio- nisti, «non sottendono più istanze educative e sono diventate parate effimere di capolavori che puntano all’utile, svilendo l’aspetto poetico». «In Italia abbiamo uomini geneticamente colti che possono andare al governo, speriamo succeda», ha concluso il direttore degli Uffizi.
Alla valorizzazione unita, necessariamente, alla conoscenza guarda Nicola Spinosa, ex sovrintendente per il Polo museale di Napoli: «Se non conoscono la realtà e la complessità territoriale – ha detto – sarà difficile per i nuovi direttori nominati da Franceschini gestire i musei, anche
LE PROPOSTE Dal forum l’idea di trasformare la bellezza in una industria creativa nazionale, anche attraverso la riqualificazione delle periferie
perché la riforma non ha affrontato i nodi delle risorse finanziarie e del personale». Spinosa ha criticato, in particolare, l’accorpamento di tutti i musei di una regione, dall’arte all’archeologia, dentro un unico Polo museale che non ha soldi: «Abbiamo messo una pezza a colori, speriamo si faccia un vestito», ha detto.
«Con la riforma si è intervenuti per capovolgere un sistema italiano che funzionava bene – ha rinforzato Carl Brandon Strehlke, curatore emeritus del Philadelphia Museum of art – e aveva soltanto bisogno di più fondi e di più personale. L’austerity nella cultura non funziona mai, e infatti è raro che un museo sia in attivo: anche i musei americani, dal Metropolitan al Moma al Getty, non hanno i conti in attivo. E dunque non so come i musei italiani ora affronteranno le loro esigenze economiche».