Da giovedì 1° ottobre l’abuso esce dal penale
giovedì 1° ottobre l’elusione fiscale non avrà più alcuna rilevanza penale. A partire da quella data, infatti, divengono efficaci le disposizioni del nuovo articolo 10-bis nello Statuto dei diritti del contribuente (legge 212/2000), che ha introdotto la nuova definizione e il connesso regime dell’abuso del diritto, al cui comma 13 si prevede espressamente che «le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie».
Gli atti pregressi già notificati
L’obiettivo perseguito posticipando l’efficacia della novella, rispetto all’entrata in vigore del Dlgs 128/2015 (il 2 settembre), è quello di “fare salvi” sia gli atti pregressi già notificati, sia quelli che lo saranno entro fine settembre. La disciplina introdotta con l’articolo 10-bis, in realtà, non introduce autentiche novità, limitandosi a codificare principi già immanenti nell’ordinamento, quali l’obbligo del contraddittorio (come del resto riconosciuto, da ultimo, anche sentenza 132/2015 della Consulta) e il diritto per il contribuente di scegliere la soluzione fiscalmente più conveniente, ove consentito dal sistema («legittimo risparmio d’imposta»). Sicché, trattandosi di regole che già integravano principi immanenti, le stesse debbono trovare applicazione, indipendentemente dall’efficacia della norma che si limita a codificarle in norme scritte. In ogni caso, però, il posticipo dell’efficacia della nuova disciplina dell’abuso del diritto non potrà sortire effetti con riguardo alla previsione del comma 13, la quale avrà, dovrà avere, addirittura, una portata retroattiva. Ciò, in ragione dell’operare del principio del «favor rei».
Profili di novità
Tale disposizione presenta profili di novità. La giurisprudenza di Cassazione è pervenuta in effetti a riconoscere la rilevanza penale anche dell’abuso del diritto (Cassazione 3307/2014) e, in ogni caso, per effetto dell’assorbimento nell’abuso anche delle ipotesi di elusione, riconducibili all’articolo 37-bis del Dpr 600/1973, l’irrilevanza penale torna a questo punto invocabile anche in simili ipotesi, che la giurisprudenza di Cassazione ha ritenuto, in modo abbastanza pacifico, integrare vicende penalmente rilevanti (Cassazione 13039/2014; Cassazione 15186/2014). Qui opera però il principio del «favor rei», codificato all’articolo 2, comma 2, del Codice penale, in base al quale «nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato». Sicché, per effetto della sopravvenuta irrilevanza penale della condotta integrante abuso del diritto, non potranno essere sanzionate (penalmente) neppure quelle vicende accadute, ed anche contestate, prima della piena efficacia della norma che le depenalizza.
Un dubbio in merito alla piena operatività di tale principio si potrebbe in re- altà porre in ragione di quanto previsto ancora dal comma 5 dell’articolo 1 del Dlgs 128/2015, per cui l’efficacia retroattiva della novella dovrebbe in ogni caso essere limitata alle sole operazioni già poste in essere ma per le quali, alla data del 1° ottobre, non è stato notificato l’avviso di accertamento; non quindi anche per quelle rispetto alle quali l’accertamento è già stato notificato. Parrebbe un tentativo di ripristinare l’istituto dell’ultrattività, già conosciuto con l’articolo 20 della legge 4/1929, in virtù del quale le disposizioni penali violate restano applicabili anche se abrogate al momento della loro applicazione. Anche questo tentativo appare però destinato a fallire.
Va ricordato, infatti, che già la Corte europea dei diritti dell’uomo, a partire dal caso Scoppola contro Italia, del 17 settembre 2009, è pervenuta, attraverso un’interpretazione evolutiva dell’articolo 7 della Cedu, a riconoscere il principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite «quale ulteriore proiezione del nullum crimen sine lege». Dal canto suo, la Corte costituzionale (236/2011), pur negando una tutela costituzionale piena al principio di retroattivita della «lex mitior», è comunque ferma nel consentire deroghe a detto principio solo se ed in quanto giustificate alla stregua dell’articolo 3 della Costituzione, non potendosi consentire che vengano puniti in maniera differenziata soggetti responsabili della medesima violazione, solo in ragione della diversa data di commissione del reato. Anche per la depenalizzazione dell’abuso, quindi, appare scontata l’applicazione retroattiva.