L’eredità di Expo a una Milano rinnovata e vitale
Nel novembre del 2007 scrissi una lettera cattiva all’allora sindaco di Milano Letizia Moratti, paventando l’assegnazione a Milano dell’Expo 2015 come foriera di vantaggi per pochi e svantaggi per la maggioranza dei cittadini. Mi ero sbagliato. L’Expo è stato ed è un successo di pubblico. Ha dato la stura a incontri di carattere culturale, politico, nutrizionistico fra migliaia di delegati provenienti da Paesi di tutto il mondo. Ha consentito di accreditare un’immagine di Milano tutto sommato positiva per il dinamismo, le capacità organizzative, per le bellezze monumentali e per l’organizzazione di “eventi” nelle più svariate e impensabili sedi. Milano si è dotata di un nuovo impianto edilizio di grande rilevanza: l’insieme dei grattacieli e delle costruzioni nell’area di Porta Nuova-Porta Garibaldi che hanno presentato delle innovazioni costruttive e delle soluzioni estetiche originali molto apprezzate, dando vita altresì a luoghi d’incontro e di aggregazione. Insomma, una vitalità nuova per la città e, a caduta, anche per l’intera Italia.
A.G.
Sono in tanti , a Milano , che dovrebbe-ro fare atto di contrizione (e magari ringraziare il sindaco Moratti che fortissimamente volle l’Expo). Non per dare soddisfazione a chi pensava che, nonostante tutto, i vantaggi avrebbero potuto essere superiori ai rischi e ai costi di ospitare l’Expo; ma, soprattutto, per contribuire a un dibattito su Milano che non sia accecato dai pregiudizi e dalle prevenzioni. La città ne avrebbe bisogno, dopo anni di letteratura cupa e angosciata che l’ha raffigurata come una sorta di mini-Gotham City. Secondo questa letteratura, a Milano non succede nulla, se non il peggio possibile. Peccato che, nel frattempo, a Milano si sia restaurata la Scala, si sia ripulita la Darsena, si sia realizzato il quartiere di Porta Nuova, si sia costruita la nuova Fiera, si stia completando il grattacielo più alto d’Italia, si siano aperti nuovi ospedali e università, si stia allungando la metropolitana, per non parlare di tanti altri interventi, magari meno spettacolari, che hanno anch’essi contributo a cambiare non solo il volto, ma soprattutto la percezione della città: presso gli abitanti, e presso i forestieri.
Il successo dell’Expo è già misurabile, più che nel giro d’affari (che peraltro non pare indifferente, a leggere gli ultimi numeri), nella sorpresa di molti non milanesi che immaginavano una Milano esclusivamente dedita agli affari e l’hanno scoperta invece ricca di novità architettoniche, cultura e, per quanto i tempi consentano, ragionevole ottimismo.
Adesso arriva un altro momento delicato: perché Milano non potrà più affidarsi alle prospettive del- l’Expo che, pur tra polemiche e fattacci di cui avremmo fatto molto volentieri a meno, ha assicurato alla città in questi ultimi anni un obiettivo e una missione; e dovrà decidere come gestire l’eredità dell’evento, sia dal punto di vista urbanistico che da quello della centralità assunta sul tema strategico della nutrizione e dell'ambiente.
Perciò avremo bisogno di un dibattito anche aspro ma approfondito e obiettivo, come raramente abbiamo avuto in passato quando si scontravano esclusivamente le ragioni del sì e del no “a prescindere”: che un cittadino di Milano riconosca di aver eccesso in pessimismo è un segno che la città non perde la sua vocazione empirica e riformista, ossia capace di cogliere problemi, sfide e prospettive e di cercare risposte efficaci. L’auspicio, naturalmente, è che la politica, nei prossimi, decisivi mesi, manifesti la medesima responsabilità. Anche per rassicurare il saggio ed entusiasta Bonvesin della Ripa che, assieme alla mancanza di un porto, additava il “difetto di concordia civile” come l’unica pecca della sua meravigliosa città, ricca di santi, di mestieri e di gamberi.