In Brasile il valzer del consolidamento
Il Brasile resta strategico, le torri mobili no. Una conferma e un cambio di rotta per Telecom Italia, fresca di un riassetto dell’azionariato probabilmente non ancora completato, ma entrambe posizioni –“opportunistiche”. «Bisogna essere pragmatici», aveva osservato quest’estate a proposito della controllata carioca Arnaud de Puyfontaine, ceo di Vivendi, al- la sua prima visita in Italia da novello azionista di riferimento dell'incumbent tricolore. E infatti, con il real quasi dimezzato dall’inizio dell’anno, non è proprio il caso di considerare la cessione di Tim Brasil, partecipazione del resto mai messa in dubbio, nemmeno quando erano molto forti le pressioni affinchè fosse messa sul mercato.
Tim Brasil non ha debiti, non ha fatto acquisizioni impegnative e, in termini relativi, rispetto ai concorrenti soffre meno degli altri della frenata del Paese. Lo status quo nel settore potrebbe interrompersi da un momento all’altro. A dare il via al valzer del consolidamento, in grande stile, potrebbe essere proprio il “campione nazionale” Oi alle prese con la gestione di un debito pesante che, più prima che poi, potrebbe porre il gruppo di fronte a una scelta di natura straordinaria. Anche AT&T, che con l’acquisizione di DirecTv ha rilevato una portafoglio clienti in Brasile, potrebbe muovere le sue pedine: è opinione generale che il suo posizionamento strategico nel Paese sudamericano non sia sostenibile. DirecTv, che è una tv satellitare, nelle città soffre della concorrenza degli operatori via cavo in grado di fornire anche la connessione in banda larga e dunque, prima o poi, AT&T potrebbe decidere di vendere o più probabilmente di comprare/aggregarsi per uscire dall’angolo. Di fatto è già sul mercato un’altra americana, Nextel, che ha poche ma buone frequenze mobili e un portafoglio clienti ben paganti da offrire: un’opzione che potrebbe rafforzare Tim Brasil nel mobile, ma non completarne il posizionamento strategico sul mercato. Ma se il Brasile è strategico, fintanto che non si realizzeranno le condizioni per la cessione di Telecom Argentina al fondo Fintech, anche Buenos Aires sarà presidiata. Il Paese si avvia al voto il prossimo mese, ma il nuovo governo non si insedierà prima di dicembre. Così, di certo, almeno fino alla fine dell'anno non succederà nulla. Le torri invece sono destinate alla dismissione. Una parte di quelle brasiliane – 4.176 torri – sono state già cedute ad American Tower per 1,9 miliardi di reais e sono in corso trattative per vendere anche le altre 2.305 torri rimaste. In Italia si era scelta un’altra strada, con la quotazione in Borsa di Inwit, la neonata società a cui sono state conferite le torri di Tim, mantendo però in capo a Telecom il controllo del 60%. Il successo di mercato della matricola di fine giugno ne ha incrementato il valore di quasi il 25%. Oggi Inwit è la società delle torri più apprezzata al mondo – più anche dei colossi americani – i termini di free cash-flow yield. Non a caso: perché Inwit è l’unica società quotata del settore a essere totalmente concentrata nel campo delle tlc, asset che valgono di più di quelli del broadcast. La tentazione di monetizzare è forte: ai prezzi di Borsa attuali, senza nemmeno aggiungere premi, il 60% in mano a Telecom vale più di 1,6 miliardi. Per un operatore di tlc vendere le torri equivale alla scelta del negoziante che cede i “muri” riaffittando gli spazi con un contratto a lungo termine. Tant’è che dall’altra parte dell’Atlantico la tendenza ha preso piede. In Europa c'è la spagnola Cellnex che sta battendo la stessa strada e che in Italia ha già messo piede rilevando le torri di Wind: se riuscisse a conquistare anche quelle di Tim, secondo gli analisti, potrebbe realizzare sinergie dell'ordine di mezzo miliardo. Un affare che sotto il profilo finanziario potrebbe interessare F2i, l’investitore infrastrutturale che a luglio ha completato la raccolta per il suo secondo fondo e che ha circa 900 milioni di liquidità da impiegare. Senza contare la capacità d’indebitamento e le ulteriori risorse che potrebbe mobilitare se – come si mormora in ambienti finanziari – la sua quota in Metroweb fosse rilevata dal socio di minoranza Cdp. Magari in vista di un successivo conferimento in Telecom, in cambio di una quota azionaria, a completare così il cerchio.