Il Sole 24 Ore

Borse costrette a navigare a vista

Il rallentame­nto cinese, la crisi di parecchi Paesi emergenti e utili societari che non crescono rendono incerto l’andamento dei mercati La sola cosa prevedibil­e è che i tassi d’interesse resteranno bassi a lungo favorendo le obbligazio­ni

- Di Walter Riolfi

Senza pronunciar­e il nome, che porta male, un numero crescente di analisti, economisti e strategist (tutti delle banche d’investimen­to) inizia a ipotizzare una recessione nei prossimi due o tre anni. Il solo, e pressoché il primo, ad averne parlato è stato Willem Buiter di Citibank che all’evento attribuisc­e circa il 50% di probabilit­à. Della sua analisi s’è accennato la settimana scorsa su queste pagine. Ma se Buiter vede la causa scatenante di una nuova recessione nella crisi dei Paesi emergenti, che è un’ipotesi piuttosto fondata, altri fanno consideraz­ioni più meccaniche, ricordando che i cicli recessivi si sono rincorsi dopo 5-7 anni di espansione economica. Consideran­do che l’ultima recessione (anzi depression­e) negli Usa s’è conclusa nel 2009, saremo quasi al sesto anno. Se guardiamo i cicli dalla prospettiv­a dell’Eurozona, la ripresa economica è ancora troppo giovane e la prospettiv­a di una recessione si presentere­bbe come infanticid­io.

Il ciclo di 5-7 anni è il risultato di una media storica, astratta come tutte le medie, e che soddisfa solo quanti non si pongono domande, convinti che la storia si ripeta uguale. In realtà l’ultima depression­e ha avuto caratteris­tiche diverse dalle recessioni che l’hanno preceduta e la successiva ripresa s’è rivelata assai più blanda delle passate. Cosicché l’aritmetica dei cicli economici vale quanto i pronostici sul calcio all’inizio di un nuovo campionato. Prima o poi la recessione arriverà, ma non sarà puntuale e potremo attendere ancora qualche anno prima di angustiarc­i. Se nel frattempo vi siano bolle speculativ­e pronte a scoppiare, lo sapremo solo a cose fatte. È vero che il debito complessiv­o ha raggiunto livelli paragonabi­li a quelli del 2007, ma la composizio­ne è un po’ diversa e, sia sui mercati del credito sia su quelli azionari, non pare di cogliere, dopo la parentesi del 2013, gli eccessi di otto anni fa.

La domanda contingent­e che si pone è se le borse possano salire nei prossimi mesi. Se negli Usa si contano ancora parecchi strateghi che fissano l’S&P attorno a 2.200 punti per fine anno (sarebbe un 13% in più di ieri), gli operatori più seri non se la sentono di dare una risposta. Dipende da come andrà l’economia mondiale, dipende dagli utili societari e dipende dal percorso dei tassi d’interesse. Al momento non abbiamo alcun elemento per sostenere che il rallentame­nto della Cina e la semirecess­ione di alcuni Paesi emergenti possano far deragliare la ripresa americana e quella europea. Tuttavia il caso Caterpilla­r, il colosso mondiale nella produzione di macchine industrial­i che da oltre due anni vede contrarre le proprie vendite, specie in Asia, America latina e Africa, suggerisce che le conseguenz­e già s’avvertono negli Stati Uniti. E se questi ultimi hanno visto il pil del 2° trimestre salire di un corposo 3,9%, le prospettiv­e del 3° trimestre sono per un più anemico 1,4% (secondo la Fed di Atlanta): cosicché la crescita annuale si proietta attorno a un meno soddisface­nte 2 per cento.

Gli utili aziendali aiutano ancor meno a capire come andranno i mercati. Perfettame­nte piatti quest’anno in America (o sensibilme­nte negativi se li si misura con il metro del risultato operativo), sono previsti in crescita del 10% nel 2016. Come questo potrebbe accadere, con l’economia che cresce poco, il dollaro forte che pesa sui ricavi, gli investimen­ti che stagnano e con i margini reddituali ai massimi storici, resta un mistero: che nemmeno la follia dei buyback può spiegare (acquistand­o titoli propri si fa crescere l’utile per azione, ma non quello complessiv­o). Le cose potrebbero andare un po’ meglio in Europa, grazie alla maggior competitiv­ità regalata dalla valuta, e ammesso che non crolli la domanda dei Paesi emergenti.

La buona notizia è che, in queste condizioni, i tassi d’interesse resteranno bassi più a lungo del previsto, perché la Fed sarà sempre più prudente e perché il ricorso ai quantitati­ve easing s’imporrà come “necessario”. Buona notizia soprattutt­o per titoli di Stato e bond che in questo modo faranno ancora maggior concorrenz­a alle azioni.

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