Banche e clienti, gli indicatori per stare tranquilli
Dall’anno nuovo scatterà la direttiva sulle crisi creditizie con il bail in: novità per azionisti, bondholder e correntisti
«Il nostro gruppo ha un coefficiente patrimoniale del 18,5%». La frase, non casuale, non è contenuta in un prospetto per il collocamento di azioni od obbligazioni, ma negli spot e nelle inserzioni pubblicitarie più recenti di un istituto di credito quotato. Un piccolo ma significativo segnale che nel settore comincia a farsi strada la consapevolezza che dal 2016, con l’entrata in vigore anche in Italia della Direttiva Brrd ( Bank Recovery and Resolution Directive) sui salvataggi e la risoluzione delle crisi bancarie, i clienti si faranno più attenti alla solidità delle società alle quali affidano i propri risparmi e investimenti.
La parola chiave è bail in. Per decenni il conto dei dissesti creditizi veniva ripianato dagli Stati, con il ricorso alla fiscalità o ai Fondi di garanzia, come avvenuto in molti casi anche in Europa dopo il crack di Lehman Brothers: secondo Eurostat, a fine 2013 gli aiuti ai sistemi creditizi nazionali per reggere l’urto della crisi finanziaria globale avevano accresciuto il debito pubblico di quasi 250 miliardi in Ger- mania, quasi 60 in Spagna, 50 in Irlanda e nei Paesi Bassi, poco più di 40 in Grecia, 19 circa in Belgio e Austria e quasi 18 in Portogallo. In Italia il sostegno pubblico è stato di circa 4 miliardi, tutti ormai restituiti. Dall’anno prossimo invece a pagare il conto di errori di gestione ed eventuali illeciti del management saranno chiamati (con svalutazioni progressive) innanzitutto gli azionisti, in subordine gli obbligazionisti e, se non bastassero i loro sacrifici, anche i correntisti (ma solo coloro che hanno più di 100mila euro depositati). Non tutto, in realtà, è definito. In assenza del decreto di attuazione della legge delega al Governo per il recepimento della Brrd, restano alcune zone d’ombra che dovranno essere eliminate sulle ricadute per i correntisti. Banca d’Italia e ministero dell’Economia dovranno concordare regole certe sulle somme depositate nei conti cointestati, in particolare sul calcolo del tetto di garanzia dei 100mila euro.
Ma quali sono gli indicatori che azionisti e bondholders possono seguire per informarsi sulla solidità della banca e, quindi, del proprio investimento? Oltre ai consueti dati di bilancio ci sono “spie sul cruscotto” da seguire con attenzione. Innanzitutto il rating, la valutazione delle agenzie internazionali, che però in passato non ha evitato scottature. C’è poi il consensus degli analisti, ovvero i “consigli” di eventuale acquisto, mantenimento o vendita di un titolo. Ma anche l’andamento dei Cds, i credit default swap che rappresentano il “premio” per assicu- rarsi contro il default (il loro rapido aumento segnala tensioni).
Su tutto c’è il coefficiente di solidità patrimoniale. Espresso come Cet 1, acronimo di Common equity tier 1, il valore appare nelle comunicazioni di bilancio e rappresenta il rapporto tra capitale ordinario versato e attività ponderate per il rischio delle banche. Più alto è il Cet 1, maggiore — sempre che i bilanci siano veritieri — è la solidità dell’istituto, dunque di azioni e bond. Ogni banca a inizio 2015 ha ricevuto dalla Bce un livello minimo “personalizzato” di Cet 1 da rispettare, oltre a eventuali “cuscini” aggiuntivi ( buffer) da accantonare. Se il Cet 1 scende sotto la soglia fissata da Francoforte, l’istituto deve porre in atto operazioni di rafforzamento patrimoniale. In caso di grave squilibrio, può scattare la risoluzione e il bail in. Per tenere sotto controllo le situazioni più calde, dal 21 settembre Banca d’Italia istituito l’Unità di risoluzione e gestione delle crisi, cui è stata delegata la gestione delle procedure di amministrazione straordinaria in corso e di liquidazione volontaria e coatta amministrativa.
Una giungla, per districarsi dalla quale non basta leggere qualche pubblicità comparativa. A investitori e correntisti occorrerà informarsi con continuità, più spesso e più attentamente che in passato: perché la “mano pubblica” tra pochi mesi non verrà più in soccorso.