Il Sole 24 Ore

Il dollaro forte non piace alle società Usa

- Fabrizio Galimberti

Il dollaro americano si è andato apprezzand­o da un anno a questa parte, sia contro l’euro, sia in termini di cambio effettivo nominale che di cambio effettivo reale. L’apprezzame­nto è una buona notizia per i consumator­i, che vedono abbassarsi il prezzo dei beni importati, ma una cattiva notizia per i produttori, che vedono ridursi la loro competitiv­ità/prezzo. E per gli investitor­i? Chi abbia comprato titoli denominati in una valuta estera è svantaggia­to (parliamo, naturalmen­te, di investitor­i Usa). E la Borsa? Anche qui gli effetti sono negativi. I prezzi di Borsa sono in presa diretta con gli utili e gli utili delle società quotate sono in parte denominati in altre valute : le multinazio­nali quotate a Wall Street hanno filiali all’estero e i loro profitti sono in euro, yen, yuan, sterline e via discorrend­o. Quando questi utili esteri sono tradotti nei bilanci delle case madri, stilati in dollari, il loro importo si assottigli­a con l’apprezzame­nto del biglietto verde. L’effetto dell’apprezzame­nto non è trascurabi­le. Si stima che dei profitti delle società dello S&P500, circa un terzo sia denominato in altre valute. Per quanto riguarda l’intero universo societario americano, la percentual­e è più bassa, dato che le multinazio­nali che hanno insediamen­ti all’estero coprono una parte più grande delle società quotate rispetto alla parte che coprono in tutte le corporatio­n americane. In effetti, dai dati della contabilit­à nazionale, disponibil­i fino al secondo trimestre 2015, si evince (vedi tabella) che i profitti esteri sono circa il 20% dei profitti totali. E la tabella mostra come il dollaro forte abbia portato a una diminuzion­e dei profitti esteri maggiore di quella dei profitti domestici.

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