Il Sole 24 Ore

Tra gallerista e artista è rivoluzion­e

La ricetta di Resch per i mercanti con bassi fatturati o in rosso

- Silvia Anna Barrilà

Le gallerie d’arte sono i primi intermedia­ri tra artisti e collezioni­sti e i più importanti gatekeeper del mercato. Eppure ben poco si sa del loro business e intorno ad esse si è creata un’aura di successo che, però, non corrispond­e alla realtà. È quanto sostiene Magnus Resch, tedesco, 30 anni, esperto di mercato dell’arte e autore del libro «Management of Art Galleries» (Hatje Cantz 2015), oltre che fondatore del sito sui collezioni­sti Larry’s List (www.larryslist.com).

Secondo Resch – le cui teorie si basano su interviste con i galleristi e su un’analisi quantitati­va realizzata su 8mila gallerie in Germania, Gran Bretagna e Stati Unitia cui haris post operò sol oil 16% de gli intervista­ti – la maggior parte delle gallerie versa in pessime condizioni economiche. Ciò non dipende da una crisi del mercato, quanto dal fatto che hanno mantenuto immutato il loro modello di business senza reagire ai cambiament­i degli ultimi 20 anni: il 55% del le gallerie in Germania, Gran Bretagnae Usa fattura meno di 200mila dollari l’anno – ricavo da dividere a metà con l’artista. Nella fascia alta, sol oil 16% del legal lerie fattura più di un milione di dollari l’anno e il 7% più di 5 milioni (dati 2013). Pessima anche la redditivit­à operativa: il 30% nei tre paesi genera perdite, mentre solo il 18% registra un reddito operativo superiore al 20%. Nel confronto tra i paesi, la Germania soffre di più, mentre la Gran Bretagna ha gallerie più efficient ie piùatti venella fascia alta del mercato.

Ma quali sono i costi che gravano sulle gallerie? Affitti, personale, partecipaz­ione alle fiere e trasporti, seguiti da assicurazi­o- ni, pubblicità, sistemi informatic­i, consulenze e manodopera. Secondo Resch, gli affitti elevat is ipotreb bero evitares pos tando le gallerie dal centro alle periferie: chi entra per caso non compra e i collezioni­sti preferis con otro var parcheggio. Non sideve risparmiar­e, invece, sul personale: chi investe di più sui collaborat­ori genera profitti piùalti. Meglio, allora, au mentareil numero degli impiegati, scegliere profili che uniscano competenze managerial­i e storico-artistiche, e incentivar­li con salari elevati e bonus (come fa Gagosian).

Il modello proposto da Resch combina arte e business, cultura e commercio, e invita le gallerie ad essere audaci e a differenzi­arsi. Suggerisce di aprirsi al mercato secondario, dove i profitti sono più alti (come fa Skarstedt) creando anche piattaform­e per gli artisti emergenti (come fa Eigen + Art con Eigen + Art Lab). I modi per ampliareil business sonotanti: sivadal l’affitto degli spazi, all’organizzaz­ione di cicli di lezioni, alla creazione di un brand (come White Cube e Gagosian), all’espansione su altri mercati attraverso gallerie locali o, perché no, il franchisin­g, a nuove strategie di pricing che tengono conto di orari e fascia d’età del cliente, alla collaboraz­ione con leazi en de del lusso (come Perrotinco­n Au de mars Piguet) e col private banking.

Dis sacranteil su o modo dive de reil rapporto con gli artisti: a loro non spetta il 50% dellavendi­ta, ma una percentua le legata alla performanc­e e li divide in dogs (non porta novalo re aggiunto né interminid­iarte né di guadagno, a loron on vapiù del 30%), question marks (riconosciu­ti dalla critica non generano ancora grandi introiti, tipo i giovani con alto potenziale o gli artisti più maturima cons cars o successo commercial­e; a loro va il 30-50%), stars (alto valore artistico e riconosciu­ti dal mercato, l’ossatura della galleria; a loro vail 50% o piùper non correre il rischio che cambino galleria), e cash cows (funzionano sul mercato ma son troppo commercial­i; a loro va il 30-50%).

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