Su lle Borse torna l’ombra dell’incertezza
L’avversione al rischio caratterizza l’andamento peggiorato dalla crisi del settore automotive
A parte qualche eccezione, come Piazza Affari ancora a +10%, la maggior parte degli indici si è rimangiata i guadagni dell’anno: lo Stoxx 600 europeo è sotto di un punto percentuale, l’S&P500 è a -7%. I timori per le ripercussioni dello scandalo Volkswagen sui bilanci del settore auto e di quelli collegati, ancora indefinite, si sono innescate in un quadro già annebbiato dall’incertezza.
La banca federale americana ha sospeso la decisione sul rialzo dei tassi di interesse in attesa di spinte salariali più decise e di una rete economica più forte per attutire il rafforzamento del dollaro; così i dubbi per uno scenario macro peggiore del previsto hanno zavorrato Wall Street. A inizio settimana le dichiarazioni di alcuni esponenti della Fed in favore di una stretta monetaria entro fine anno hanno confuso ulteriormente gli investitori, spiazzati anche dall’allarme sui profitti del colosso industriale Caterpillar, che si aggiunge a una stagione degli utili già povera negli Stati Uniti. A beneficiare dell’atteggiamento espansivo – o nel peggiore dei casi attendista - delle autorità monetarie in tutto il globo sono state, piuttosto, le obbligazioni.
La Banca Centrale Europea ha ipotizzato un’estensione del programma in atto per tenere bassi i tassi e spronare crescita e inflazione, a fronte della debolezza dei prezzi e di un eventuale contagio dal rallentamento dei Paesi emergenti; la Banca centrale d’Inghilterra tergiversa al pari di quella statunitense nel ritorno a una politica meno accomodante; la Banca del Giappone potrebbe annunciare un ampliamento degli stimoli monetari nella prossima riunione di ottobre; la Banca del Popolo cinese è tornata a interventi massicci su mercati, che fanno il paio con le iniziative di Pechino per evitare una brusca frenata dell’economia. E al coro si uniscono le piccole banche centrali, come quella norvegese che qualche giorno fa ha tagliato il costo del denaro.
È in questo contesto che i titoli di debito, da quelli pubblici a quelli a più basso merito di credito, mantengono le quotazioni a livelli record e i rendimenti vicini ai minimi storici, schiacciati dalle richieste, nonostante siano ormai poco appetibili.