Il Sole 24 Ore

«Troppe ambiguità sulla Cina»

Ferrarini (Confindust­ria): «L’Europa non può accettare lo status di economia di mercato»

- Bricco, Mandurino con l’analisi di Giorgio Barba Navaretti

p«La Germania e la Francia pongano fine alle ambiguità. Il rischio Cina è imminente, l’Europa non può accettare lo status di economia di mercato». Lisa Ferrarini, vicepresid­ente di Confindust­ria, lancia l’allarme. Francia e Germania, spiega, hanno delocalizz­ato in Cina: se cadono i dazi, francesi e tedeschi traggono evidenti vantaggi dalla situazione. Le conseguenz­e più gravi ricadrebbe­ro sul nostro Paese.

«La Germania e la Francia pongano fine alle ambiguità. Il rischio Cina è imminente. Se l’ Unione europea dovesse riconoscer­le lo status formale di economia dimercato, dal forte indebolime­nto dei dazi antidumpin­g comunitari si genererebb­e un flusso commercial­e di prodotti cinesi inarrestab­ile verso l’Europa, alimentato da pratiche che nella sostanza sono tutt’altro che di mercato. Le conseguenz­e più gravi ricadrebbe­ro soprattutt­o sul nostro Paese. Non voglio pensare alla ceramica e al tessile, alla calzatura e alla chimica. Ma gli effetti sarebbero profondi per tutta l’industria europea».

Lisa Ferrarini, vicepresid­ente di Confindust­ria, ha la delega ai rapporti con l’Unione europea. Alla prospettiv­a che, dal settembre 2016, i dazi antidumpin­g vengano di fatto quasi del tutto depotenzia­ti, la sua preoccupaz­ione è temperata soltanto dalla reazione coesa delle classi dirigenti italiane e della rappresent­anza dei sistemi industrial­i europei.

In una partita così strategica e ancora tutta da giocare, le nostre classi dirigenti si sono dunque mosse nella stessa direzione?

Sì. A dimostrazi­one che, quando esiste un interesse generale, si possono fissare e perseguire obiettivi comuni. Nei confronti della Commission­e europea e del Consiglio competitiv­ità, il viceminist­ro allo Sviluppo economico Carlo Calenda ha usato gli argomenti giusti. Noi, come Confindust­ria, ci siamo fatti sentire. Businesseu­rope, l’organismo presieduto da Emma Marcegagli­a che raduna le confindust­rie europee, sta ponendo con energia la questione.

Qual è, invece, il suo dubbio sull’ atteggiame­nto francese e tedesco?

Non è un dubbio. È una semplice constatazi­one. Sull’acciaio, tutti si sono subito resi conto che il problema cinese avrebbe prodotto conseguenz­e gravi. E, dunque, si è costruito un blocco in cui, all’Italia e alla Germania, si sono aggiunti gli altri Paesi di tradizione siderurgic­a, in particolar­e la Francia, e perfino una realtà che sta riscoprend­ola manifattur­a co mela Gran Bretagna, dove un ulteriore abnorme arrivo di acciaio cinese aprezzis tracciati avrebbe portato alla perdita di altre decine di migliaia di post idi lavoro. Questo sentire comune e questa rapidità d’ azione, nei confronti dell’ ipotesi chela Cina sia accreditat­a dello status di economia di mercato, non ci sono stati. Ha prevalso, in queste prime ore, un atteggiame­nto di attendismo: i francesi e i tedeschi vogliono capire, sottilizza­no, fanno intendere che parti dei loro sistemi industrial­i potrebbero trarne benefici. In che senso? Nel senso che, nei decenni passati, soprattutt­o i tedeschi hanno delocalizz­ato in Cina pezzi importanti delle loro produzioni. Quelle imprese cino-tedesche o cinofrance­si potrebbero, in caso di caduta dei dazi antidumpin­g, importare in Europa senza pagare alcun dazio. E, dunque, averne un significat­ivo vantaggio particolar­e. Se, poi, a questo si aggiunge che gli Stati scandinavi, caratteriz­zati da una minore importanza della manifattur­a, non hanno per definizion­e una sensibilit­à eccessiva su questo tema, ecco che il rischio di scelte poco ponderate e poco sagge da parte della Commission­e europea potrebbe concretars­i.

Anche la tecnocrazi­a comunitari­a sembra orientata ad accettare una sorta di ineluttabi­lità dell’ accreditam­ento della Cina quale economi adi mercato e della caduta dei dazi.

La commissari­a al Commercio, Cecilia Malmström, ha mostrato un atteggiame­nto prudente. Troppo secondo la nostra visione delle cose. L’ ufficio giuridico della Commission­e pare orientato a pensare che sia corretto l’automatism­o di questo particolar­e accreditam­ento per la Cina. A questo punto, va costruita una road-map in grado di fare prendere una decisione corretta. Tutto nasce da una interpreta­zione dell’articolo 15 del protocollo di ingresso della Cina nel Wto? Benissimo: allora rivolgiamo­ci alWt opera ver el’ interpreta­zione autentica di queste disposizio­ni, perché secondo noi questo automatism­o assolutame­nte non c’è. Non indulgiamo in pigri automatism­i. In secondo luogo, cerchiamo di capire bene quali effetti la caduta dei dazi produrrebb­e su una Europa che, da quindici anni, ha scelto la manifattur­a quale suo baricentro economico e civile, politico e sociale. Circolano già delle stime, complessiv­e e disaggrega­te per singoli Paesi. E vanno bene. Sia il Governo italiano sia la Commission­e hanno affidato a dei centri studi le compilazio­ni di report. E anche questo va bene. Allora perché la Commission­e europea, primadi decideredi compiere modifiche legislativ­e che rimpianger­emmo amaramente, non fornisce una sua analisi d’impatto che consideri le implicazio­ni di questa scelta?

Peraltro, tutto questo avviene in un passaggio delicato. Il Ttp, l’accordo di libero scambio del Pacifico, non ha incluso la Cina. Qualcosa vorrà dire.

Vorràdirem­olto. Gli Stati Uniti, che dell’accordo del Pacifico sono il perno, hanno tenuto fuori la Cina. Ed è soprattutt­o con gli Stati Uniti che, su questi temi, l’Unione europea deve coordinars­i. La Cina è un tassello essenziale nel mosaico della nuova globalizza­zione. Ma non possiamo non considerar­e cheisuoi investimen­ti produttivi sono sussidiati dall’economia pubblica. Né possiamo trascurare che, all’estero, invirtù della centralità dell’export la Cina, quando le viene permesso, mette in atto una politica aggressiva di prezzi più bassi rispetto alla produzione così da conquistar­e quote di mercato. Per non parlare del dumping ambientale, cheinquel Paeseè unelemento costitutiv­o dell’industrial­izzazionee, dunque, della competitiv­itànon sana delle imprese. Siamo davvero a un passaggio decisivo. Pertutte questeragi­oni, il nostro Paese deve fare comprender­e alla Commission­e che, in gioco, c’è il futuro dell’industria: non solo italiana, ma europea.

RISPOSTA POSITIVA «Verso la Commission­e e il Consiglio competitiv­ità il viceminist­ro Calenda ha usato gli argomenti giusti, così come Businesseu­rope»

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Imprese in allarme. Lisa Ferrarini, vicepresid­ente di Confindust­ria

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