«Troppe ambiguità sulla Cina»
Ferrarini (Confindustria): «L’Europa non può accettare lo status di economia di mercato»
p«La Germania e la Francia pongano fine alle ambiguità. Il rischio Cina è imminente, l’Europa non può accettare lo status di economia di mercato». Lisa Ferrarini, vicepresidente di Confindustria, lancia l’allarme. Francia e Germania, spiega, hanno delocalizzato in Cina: se cadono i dazi, francesi e tedeschi traggono evidenti vantaggi dalla situazione. Le conseguenze più gravi ricadrebbero sul nostro Paese.
«La Germania e la Francia pongano fine alle ambiguità. Il rischio Cina è imminente. Se l’ Unione europea dovesse riconoscerle lo status formale di economia dimercato, dal forte indebolimento dei dazi antidumping comunitari si genererebbe un flusso commerciale di prodotti cinesi inarrestabile verso l’Europa, alimentato da pratiche che nella sostanza sono tutt’altro che di mercato. Le conseguenze più gravi ricadrebbero soprattutto sul nostro Paese. Non voglio pensare alla ceramica e al tessile, alla calzatura e alla chimica. Ma gli effetti sarebbero profondi per tutta l’industria europea».
Lisa Ferrarini, vicepresidente di Confindustria, ha la delega ai rapporti con l’Unione europea. Alla prospettiva che, dal settembre 2016, i dazi antidumping vengano di fatto quasi del tutto depotenziati, la sua preoccupazione è temperata soltanto dalla reazione coesa delle classi dirigenti italiane e della rappresentanza dei sistemi industriali europei.
In una partita così strategica e ancora tutta da giocare, le nostre classi dirigenti si sono dunque mosse nella stessa direzione?
Sì. A dimostrazione che, quando esiste un interesse generale, si possono fissare e perseguire obiettivi comuni. Nei confronti della Commissione europea e del Consiglio competitività, il viceministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda ha usato gli argomenti giusti. Noi, come Confindustria, ci siamo fatti sentire. Businesseurope, l’organismo presieduto da Emma Marcegaglia che raduna le confindustrie europee, sta ponendo con energia la questione.
Qual è, invece, il suo dubbio sull’ atteggiamento francese e tedesco?
Non è un dubbio. È una semplice constatazione. Sull’acciaio, tutti si sono subito resi conto che il problema cinese avrebbe prodotto conseguenze gravi. E, dunque, si è costruito un blocco in cui, all’Italia e alla Germania, si sono aggiunti gli altri Paesi di tradizione siderurgica, in particolare la Francia, e perfino una realtà che sta riscoprendola manifattura co mela Gran Bretagna, dove un ulteriore abnorme arrivo di acciaio cinese aprezzis tracciati avrebbe portato alla perdita di altre decine di migliaia di post idi lavoro. Questo sentire comune e questa rapidità d’ azione, nei confronti dell’ ipotesi chela Cina sia accreditata dello status di economia di mercato, non ci sono stati. Ha prevalso, in queste prime ore, un atteggiamento di attendismo: i francesi e i tedeschi vogliono capire, sottilizzano, fanno intendere che parti dei loro sistemi industriali potrebbero trarne benefici. In che senso? Nel senso che, nei decenni passati, soprattutto i tedeschi hanno delocalizzato in Cina pezzi importanti delle loro produzioni. Quelle imprese cino-tedesche o cinofrancesi potrebbero, in caso di caduta dei dazi antidumping, importare in Europa senza pagare alcun dazio. E, dunque, averne un significativo vantaggio particolare. Se, poi, a questo si aggiunge che gli Stati scandinavi, caratterizzati da una minore importanza della manifattura, non hanno per definizione una sensibilità eccessiva su questo tema, ecco che il rischio di scelte poco ponderate e poco sagge da parte della Commissione europea potrebbe concretarsi.
Anche la tecnocrazia comunitaria sembra orientata ad accettare una sorta di ineluttabilità dell’ accreditamento della Cina quale economi adi mercato e della caduta dei dazi.
La commissaria al Commercio, Cecilia Malmström, ha mostrato un atteggiamento prudente. Troppo secondo la nostra visione delle cose. L’ ufficio giuridico della Commissione pare orientato a pensare che sia corretto l’automatismo di questo particolare accreditamento per la Cina. A questo punto, va costruita una road-map in grado di fare prendere una decisione corretta. Tutto nasce da una interpretazione dell’articolo 15 del protocollo di ingresso della Cina nel Wto? Benissimo: allora rivolgiamoci alWt opera ver el’ interpretazione autentica di queste disposizioni, perché secondo noi questo automatismo assolutamente non c’è. Non indulgiamo in pigri automatismi. In secondo luogo, cerchiamo di capire bene quali effetti la caduta dei dazi produrrebbe su una Europa che, da quindici anni, ha scelto la manifattura quale suo baricentro economico e civile, politico e sociale. Circolano già delle stime, complessive e disaggregate per singoli Paesi. E vanno bene. Sia il Governo italiano sia la Commissione hanno affidato a dei centri studi le compilazioni di report. E anche questo va bene. Allora perché la Commissione europea, primadi decideredi compiere modifiche legislative che rimpiangeremmo amaramente, non fornisce una sua analisi d’impatto che consideri le implicazioni di questa scelta?
Peraltro, tutto questo avviene in un passaggio delicato. Il Ttp, l’accordo di libero scambio del Pacifico, non ha incluso la Cina. Qualcosa vorrà dire.
Vorràdiremolto. Gli Stati Uniti, che dell’accordo del Pacifico sono il perno, hanno tenuto fuori la Cina. Ed è soprattutto con gli Stati Uniti che, su questi temi, l’Unione europea deve coordinarsi. La Cina è un tassello essenziale nel mosaico della nuova globalizzazione. Ma non possiamo non considerare cheisuoi investimenti produttivi sono sussidiati dall’economia pubblica. Né possiamo trascurare che, all’estero, invirtù della centralità dell’export la Cina, quando le viene permesso, mette in atto una politica aggressiva di prezzi più bassi rispetto alla produzione così da conquistare quote di mercato. Per non parlare del dumping ambientale, cheinquel Paeseè unelemento costitutivo dell’industrializzazionee, dunque, della competitivitànon sana delle imprese. Siamo davvero a un passaggio decisivo. Pertutte questeragioni, il nostro Paese deve fare comprendere alla Commissione che, in gioco, c’è il futuro dell’industria: non solo italiana, ma europea.
RISPOSTA POSITIVA «Verso la Commissione e il Consiglio competitività il viceministro Calenda ha usato gli argomenti giusti, così come Businesseurope»