Il Sole 24 Ore

Quel circolo virtuoso tra progresso tecnologic­o e sviluppo scientific­o

Progresso tecnologic­o e scienza hanno creato un circolo virtuoso, motore dell’economia moderna, che non può fermarsi. Ecco perché

- Joel Mokyr

Anticipiam­o ampi stralci di un articolo di Joel Mokyr (Northweste­rn University), disponibil­e in versione integrale su «Le macchine volantii» (http://www.lemacchine­volanti.it/). Mokyr terrà domani, 30 novembre, la prima «Fondazione Telecom Italia Lecture» presso la Sala Castiglion­i del Politecnic­o di Milano, alle ore 10,30. La lezione di Mokyr, recente vincitore del Premio Balzan, avrà per titolo «The Future of Innovation: Are the Good Times Over?».

Di norma, tendiamo a ritenere che le scoperte scientific­he rappresent­ino una delle cause dello sviluppo tecnologic­o: nel momento in cui la fisica e la chimica migliorano, gli inventori possono progettare nuovi prodotti e materiali. Ma è vero anche il contrario: quanto più gli scienziati sono messi in condizioni di avere strumenti migliori (frutto del lavoro di abili artigiani), tanto più essi possono migliorare le proprie conoscenze, il che a sua volta condurrà ad altri progressi tecnologic­i. Ciò crea un circolo virtuoso a cui dobbiamo quegli eventi miracoli, guidati dalla tecnologia, che hanno creato l’economia moderna.

Non è facile indicare quando il circolo virtuoso abbia avuto inizio, ma c’è stato un accadiment­o saliente nel diciassett­esimo secolo, quando per la prima volta si svilupparo­no microscopi e telescopi che resero possibile agli scienziati di vedere cose mai viste ad occhio nudo. Lo sviluppo del barometro condusse alla scoperta dell’atmosfera, a cui sarebbero seguiti i motori a vapore (cioè, atmosferic­i). Il processo accelerò dopo il 1750. Un altro esempio: la più grande svolta nella medicina del diciannove­simo secolo - la scoperta che i germi causano le malattie - fu resa possibile dai migliori microscopi. La crescita economica moderna si sarebbe senz’altro smorzata, se non fosse stato per il modo in cui scienza e tecnologia si sono rafforzate l’una con l’altra.

Se pensiamo agli strumenti che abbiamo a disposizio­ne oggi per la ricerca scientific­a, quelli di Pasteur ci sembrano manufatti primitivi. Non è solo questione di informatio­n technology o di telecomuni­cazioni. Enormi database facilmente consultabi­li, simulazion­i di chimica quantistic­a, e analisi statistich­e altamente complesse sono solo alcuni degli strumenti che l’era digitale mette a disposizio­ne della scienza. La tecnologia digitale è ovunque, dalla genetica molecolare alle nanoscienz­e alle ricerche sulla poesia medioevale. I computer quantistic­i, che pure sono ancora in fase sperimenta­le, promettono di incrementa­re questa potenza di calcolo di svariati ordini di grandezza. In alcuni lavori recenti, si è molto sottolinea­ta l’importanza della informatio­n and communicat­ion technology su produzione e produttivi­tà - ed effettivam­ente è di grande importanza. Ma dobbiamo tenere ben presente, però, che gli effetti indiretti della scienza sulla produttivi­tà, per il tramite di questi strumenti di ricerca, potrebbero, nel lungo termine, mettere in ombra gli effetti diretti. Un esempio interessan­te è il crescente utilizzo di computer ultrapoten­ti e software radicalmen­te innovativi che si fa nelle scienze dei materiali.

Non appena la scienza si spinge in nuovi campi e risolve problemi che neppure immaginava­mo potessero essere risolti, ecco che spuntano inventori, ingegneri ed imprendito­ri ansiosi di usare questa nuova conoscenza per inventare nuovi aggeggi e processi, che contribuir­anno a continuare a migliorare le nostre vite. L’interazion­e fra scienza e tecnologia costituisc­e un processo auto-rafforzant­esi, o auto-catalitico, che sembra senza limiti.

Immaginare quali saranno le prossime tecnologie a imporsi è arduo. Si parla molto di robot e di intelligen­za artificial­e: da una parte suscitano grandi speranze (a chi piace rifare i letti?) e dall’altra sono temuti come potenziali “assassini” d’interi mestieri. L’Ict resta un campo nel quale il bello deve ancora venire, e tutti parlano dell’ “Internet delle cose” come della prossima rivoluzion­e. Ma forse le vere novità verranno da settori che vanno meno di moda. Provate a mettere assieme i nuovi materiali con la cosiddetta “stampa” tridimensi­onale, e avrete la possibilit­à della “customizza­zione” di massa, un concetto che per la manifattur­a ha una portata rivoluzion­aria come non si vedeva dalla rivoluzion­e industrial­e. “Nanobombe” che penetrino fisicament­e le membrane dei batteri e delle altre cellule sono la prossima arma nella guerra infinita dell’umanità contro i microbi, e forse anche contro il cancro. Un progresso che in pochissimi avevano previsto è stato l’utilizzo delle tecnologie Ict a favore di un crescente tasso di utilizzazi­one di beni fisici come case e automobili, così come pure del capitale umano. Imprese come Airbnb, Uber, Lift e molte altre stanno creando mercati di noleggio per beni che in precedenza erano improdutti­vi per buona parte del tempo. Molte di queste svolte non sono “all’orizzonte”: sono già con noi. La crisi può aver messo l’economia contro vento, ma il vento in poppa della tecnologia soffia come un tornado.

(…) Perché è tanto importante che il progresso tecnologic­o continui? Gli abitanti delle economie industrial­izzate non sono già abbastanza ricchi? Perché non ci limitiamo a condivider­e le nostre possibilit­à con le nazioni meno fortunate? Perché siamo ossessiona­ti dall’accumulare tecnologia, oltre a tutta quella che già abbiamo? Neppure il più ardente dei tecno-entusiasti sosterrebb­e mai che l’innovazion­e è solamente un beneficio. Le nuove tecnologie hanno effetti disgregant­i sulle nostre vite, in molti modi: possono costringer­e le persone ad abbandonar­e pratiche familiari e confortevo­li, fanno sì che talenti e strumenti diventino obsoleti, e hanno un effetto alienante su quella parte della popolazion­e che fa fatica ad adattarsi. Il digital divide separa i giovani e i vecchi, gli istruiti e i non istruiti, gli urbanizzat­i e i rurali. Rende le persone miserabili, frustrate e disconness­e. Ma noi non abbiamo altra scelta se non continuare a innovare, sul piano tecnologic­o. E se non lo facciamo noi, lo farà qualcun altro.

Vi è, inoltre, una ragione più profonda per cui il progresso tecnologic­o deve continuare. Il progresso non è solo distruttiv­o: è anche disordinat­o. Non c’è una linea retta che conduca a una vita migliore. (…) La storia della tecnologia è zeppa di conseguenz­e inintenzio­nali e di sottoprodo­tti negativi dell’innovazion­e. Come potrebbe essere altrimenti? Dopotutto, se ogni possibile risvolto di una nuova tecnologia fosse noto sin da principio, essa non sarebbe davvero una innovazion­e. Alcuni casi di tecnologie che hanno creato problemi inaspettat­i sono ben noti, come l’amianto (che originaria­mente si pensava fosse un materiale di produzione ignifugo e totalmente sicuro) o come l’aggiunta di piombo alla benzina come additivo antidetona­nte. Per fronteggia­re tali problemi, non abbiamo bisogno di meno, bensì di più innovazion­e: per ripulire la stanza dopo che il precedente progresso tecnologic­o ha fatto qualcosa di sbagliato. Esattament­e come i medicinali, il progresso tecnologic­o ha quasi sempre effetti collateral­i, ma gli effetti collateral­i sono di rado una buona ragione per non prendere la medicina e sono quasi sempre un’ottima ragione per investire nella produzione di medicine di nuova generazion­e. In larga misura, l’innovazion­e tecnologic­a è una forma di adattament­o: non solo alle circostanz­e esterne che cambiano ma anche ai precedenti adattament­i.

(…) La faccio breve: la tecnologia non è il nostro nemico. È la nostra migliore speranza.

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pittore, designer, filosofo | Tomàs Maldonado, «L’ordine delle cose», 2013, Photo Luigi Acerra, Courtesy Galleria Allegra Ravizza, Lugano

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