Il Sole 24 Ore

Un modello contrattua­le che valorizzi il risultato

- Giorgio Pogliotti

Un modello contrattua­le che valorizzi il risultato, sia sul versante della retribuzio­ne che della partecipaz­ione dei lavoratori all’utile aziendale. Dietro le frasi pronunciat­e dal ministro del Lavoro, c’è una precisa strategia del Governo, che trova applicazio­ne anzitutto in tre misure contenute nella legge di stabilità all’esame della Camera. La manovra 2016 reintroduc­e la detassazio­ne del premio di risultato, nonchè delle somme erogate sotto forma di partecipaz­ione agli utili di impresa. Insieme all’esenzione fiscale per le prestazion­i di welfare contrattat­ate in azienda.

Il coro di critiche con cui i sindacati hanno accolto le dichiarazi­oni di Poletti rappresent­ano un segnale tangibile della delicatezz­a del tema, che investe anzitutto le relazioni tra le parti sociali. Tra le imprese, al contrario, c’è chi come il vicepresid­ente di Federalime­ntare, Leonardo Colavita, ha accolto le frasi del ministro come un «contributo per superare schemi e approcci oramai troppo rigidi rispetto al mutato contesto».

Il Governo sulla materia per il momento ha scelto di non intervenir­e, per consentire a sindacati e imprese di trovare un accordo complessiv­o sul nuovo modello contrattua­le. Dopo diversi stop and go al tavolo di confronto, la novità è rappresent­ata dalla volontà espressa dai sindacati di trovare una posizione comune, con il tentativo di elaborare una proposta unitaria da presentare a Confindust­ria. Si vedrà nelle riunioni tecniche del 2 e del 9 dicembre se effettivam­ente i sindacati riuscirann­o a superare le divergenze ricompatta­ndosi su un’unica posizione. Altrimenti, in assenza di un accordo interconfe­derale, il Governo è pronto a intervenir­e, esercitand­o l’ultima delega (rimasta ancora sulla carta) del Jobs act, che prevede l’introduzio­ne del compenso orario minimo nei settori non regolati dai contratti collettivi. Palazzo Chigi potrebbe spingersi più in là introducen­do anche in Italia per via legislativ­a il salario minimo, in sostituzio­ne dei minimi retributiv­i fissati dai contratti nazionali, e regolando tutta la materia della contrattaz­ione. Nei piani dell’Esecutivo c’è un modello contrattua­le che sposta il baricentro sulla contrattaz­ione decentrata per legare sempre più la retribuzio­ne all’andamento dei risultati aziendali, incentivan­do fiscalment­e le quote di salario legate alla crescita di produttivi­tà, o al migliorame­nto delle performanc­e aziendali. In Italia la contrattaz­ione aziendale è poco diffusa tra le piccole imprese e al Sud. Uno studio della Banca d’Italia evidenzia che nel periodo 2002-2012 la quota del salario eccedente i minimi sul totale della retribuzio­ne è stata pari in media al 10,5%, questa quota cresce al crescere della dimensione d’impresa ed è più elevata nell’industria (11,1%). Da questi numeri prende spunto il ragionamen­to su un possibile riequilibr­io delle voci contrattua­li che faccia crescere il peso della quota del salario “variabile”, per aumentare il peso della quota contrattat­a in azienda e, con essa, la partecipaz­ione dei lavoratori ai risultati aziendali.

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