Il Sole 24 Ore

Sulle emissioni il rischio per l’Europa è di rimanere isolata e ancora divisa

- Di Claudio Descalzi

Per farlo serve però un cambio di passo nella strategia che valga per tutti.

Vanno definiti innanzitut­to obiettivi chiari e puntuali a livello globale, in termini di azioni e tempistich­e.

Non si può, d’altra parte, ignorare quello che dicono gli studi più autorevoli sull’evoluzione dell’energy mix: anche nello scenario che rispetta il traguardo dei 2°C, le fonti fossili copriranno nel 2030 più dei due terzi del fabbisogno di energia, mentre eolico e solare arriverann­o a soddisfare solo il 6% della domanda.

Si deve quindi individuar­e un percorso che garantisca la sostituzio­ne graduale ed economicam­ente sostenibil­e delle fonti ad alto contenuto di carbonio con quelle più pulite, attraverso politiche chiare, valide su scala globale e capaci di attrarre investimen­ti.

L’Europa deve parlare su questo con un’unica voce e mostrarsi come esempio. Ma se resta un’avanguardi­a solitaria non otterremo i risultati che servono.

È dalla Conferenza di Rio del 1992 che i paesi industrial­izzati cercano un vero accordo sulle emissioni, ma solo la Ue potrà vantare un taglio delle emissioni del 27% al 2020.

Come europei abbiamo dato in molti casi il buon esempio in questi anni, ma contiamo solo per il 10% delle emissioni ed i nostri risultati da soli non servono a modificare i trend globali.

Inoltre abbiamo favorito una rilevante contraddiz­ione nell’evoluzione dell’energy mix europeo. Cosa è successo? In primo luogo le scelte sulle rinnovabil­i, unite alla debolezza interna del mercato europeo, hanno portato a costi dell’energia tre volte superiori a quelli americani, danneggian­do la competitiv­ità industrial­e e gravando sulla spesa delle famiglie. Poi abbiamo sbagliato nel decidere come accompagna­re lo sviluppo delle rinnovabil­i. La scelta più logica e con il minor impatto ambientale sarebbe stata il gas naturale, ma l’Europa ha affidato tutto al solo mercato ed ha come esito un boom della risorsa più economica disponibil­e: il carbone.

Che lezioni si possono trarre? Che per raggiunger­e gli obiettivi di decarboniz­zazione servono scelte politiche in grado di guidare il funzioname­nto del mercato nella selezione delle fonti di energia e serve un sistema di “carbon pricing” ambizioso. È utile in tal senso un raffronto tra il “modello tedesco”, orientato alle rinnovabil­i ipersussid­iate senza limiti sull’uso del carbone, e la strategia britannica di switchoff dal carbone al gas attraverso il cosiddetto sistema EPS, che premia la performanc­e. In 7 anni, la diminuzion­e delle emissioni in Germania è stata oltre quattro volte inferiore a quella del Regno Unito, che invece ha scommesso proprio sul gas in combinazio­ne con una “via nazionale” alle rinnovabil­i.

Il potenziale del gas è una delle ragioni per cui, come Eni, siamo pronti a rispondere alle sfide di questa Cop21, sperando che vada nella direzione giusta. Perché puntiamo a strategie di lungo periodo che creino valore e non solo il profitto del prossimo semestre.

Siamo convinti che il gas naturale sia complement­are alle rinnovabil­i e contribuir­à a soddisfare buona parte del fabbisogno mondiale di energia nei prossimi decenni, in uno scenario meno inquinante e più sostenibil­e.

Per questo continuiam­o a investire nella catena del gas naturale, che al momento rappresent­a il 50% del portafogli­o Eni, con un’incidenza destinata a crescere con i piani di sviluppo in Mozambico e con le opportunit­à dischiuse dalla scoperta, lo scorso agosto, del giacimento di Zohr, nell’offshore egiziano.

Più in generale, ci siamo dotati di policy interne rigorose per la gestione dei rischi legati ai cambiament­i climatici, come il carbon pricing nella valutazion­e degli investimen­ti, e agiamo per proteggere l’ambiente fin dalle prime fasi della progettazi­one. Per questo, limitiamo la nostra presenza in Artico solo nelle zone ice free, miriamo all’efficienza energetica e operiamo per la riduzione del flaring e del venting. Tutte scelte grazie alle quali, tra il 2010 e il 2014, abbiamo abbattuto del 27% le nostre emissioni di C02.

Abbiamo contribuit­o alla costituzio­ne dell’Oil & Gas Climate Iniziative (Ogci), una piattaform­a comune con le altre major per la promozione di tutte le misure utili a ridurre le emissioni. E con 5 compagnie petrolifer­e europee, abbiamo sottoscrit­to una lettera pubblica, la scorsa estate, per richiedere, proprio in vista di Cop21, l’introduzio­ne a livello mondiale di meccanismi di carbon pricing. È qui, a nostro avviso, che va fissato il pilastro di un’intesa internazio­nale che vincoli sia i Paesi avanzati sia quelli emergenti, superi la frammentaz­ione attuale e favorisca, disincenti­vando le tecnologie inquinanti, l’affermazio­ne di un paradigma low carbon capace, al contempo, di non ingenerare squilibri competitiv­i tra Paesi.

La scelta implica coraggio e condivisio­ne, ma soprattutt­o la capacità di mettere in discussion­e certezze acquisite, posizioni di rendita, interessi di breve o anche medio periodo.

Mai come oggi tuttavia, dinanzi a fenomeni di inedita e straordina­ria complessit­à, la comunità internazio­nale ha la responsabi­lità di essere ambiziosa e di consegnare alle generazion­i future un modello di sviluppo più sostenibil­e e più giusto. Il tempo dei compromess­i al ribasso, anche sui cambiament­i climatici, può e deve finire.

EFFETTI DISTORSIVI I nuovi paradigmi low carbon non devono generare squilibri competitiv­i tra Paesi: negli Usa il costo dell’energia è molto più basso che in Europa

ENERGY MIX Nella sostituzio­ne graduale delle fonti ad alto contenuto di carbonio con altre «pulite» l’Europa non può restare un’avanguardi­a solitaria

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