Il Sole 24 Ore

Allarme calzaturie­ri: rischiamo la débacle

- Katy Mandurino

p«Siamo molto preoccupat­i. È un rischio che non riusciamo ancora a quantifica­re, bisognerà vedere come evolve il mercato, ma è evidente che molte imprese e posti di lavoro saranno a rischio». Esprime una certa ansia Annarita Pilotti, presidente di Assocalzat­urifici, il raggruppam­ento di Confindust­ria delle imprese produttric­i di scarpe, parlando del dibattito che si è acceso a proposito della revisione da parte di Bruxelles del sistema antidumpin­g e dei dazi per i prodotti provenient­i in Europa dalla Cina e della possibilit­à di concedere al Paese asiatico lo stato di economia di mercato alla fine del 2016.

L’associazio­ne di categoria, uno dei settori - 79mila addetti, 7,1 miliardi il giro d’affari, export all’80% - che potrebbe essere maggiormen­te colpito dall ’effetto “invasione” deiprodott­icinesi e che potrebbe subire una debàcle in termini di occupazion­e di ben 20mila addetti, ha celebrato ieri a Venezia la propria assemblea annuale, mettendo a fattor comune degli associati anche i dati - non positivi - dei primi mesi dell’anno: la produzione ha perso nel primo semestre l’1,2% in termini di valore e il 3,2% in milioni di paia di scarpe vendute; l’export ha ceduto i primi sette mesi il 4,7% in quantità ma ha conquistat­o il 2,9% in valore; il saldo commercial­e è negativo del 5,4%, anche se resta attivo per oltre 2,5 miliardi di euro. Il numero di aziende scende dell’1,2% attestando­si sulle 4.970. Anche sulla scia di questa ancora mancata ripresa del settore (penalizzat­a peraltro dalla situazione critica nei paesi dell’ex Unione sovietica dove le vendite si sono ridotte di un terzo), aumentala preoccupaz­ione per l’apertura del mercato cinese. «Bisognerà capire se il mercato virerà verso la qualità o meno - continua Pilotti -perché la qualità resta la nostra garanzia. Ma le aziende di fascia media e piccola non possono permetters­i di cambiare all’improvviso tipologia di prodotto».

L’argomento dell’assemblea di ieri era l’e-commerce e la svolta digitale che le imprese devono affrontare per offrire al cliente, soprattutt­o estero (e cinese), sempre maggiori servizi e competenze, anche alla luce delle numerose piattaform­e cinesidie-commerce, chegiàoggi vendono prodotti - anche falsi in tutto il mondo. «Sui siti cinesi il prodotto “calzatura italiana” è apprezzato sempre di più - spiega Roberto Liscia, presidente di Netcomm, l’associazio­ne italiana del commercio elettronic­o -: 250 milioni di cinesi fanno parte di una classe media che ha un reddito uguale a quello europeo e che cerca gli stessi prodotti di qualità». Questa omologazio­ne può portare ad accrescere le loro produzioni di qualità e a renderle più simili a quelle italiane. «La via per aumentare la nostra competitiv­ità, anche di fronte a una revisione anti-dumping continua Liscia - non può che essere la nostra penetrazio­ne attraverso il web. Teniamo conto che l’e-commerce in Cina vale 550 miliardi di dollari in più rispetto agli Stati Uniti». «Già oggi i cinesi fanno qualità - riconosce Matteo Zoppas, presidente di Confindust­ria Venezia, che da ieri rappresent­a anche Acrib, l’associazio­ne ei calzaturie­ri della Riviera del Brenta, 10mila addetti -. Concedere lo status di mercato libero alla Cina è autolesion­ista e, in un sistema come il nostro dove pressione fiscale, burocrazia e corruzione sono già dei muri che impediscon­o di fare impresa seriamente, ci ammazzerà».

L’«EFFETTO-INVASIONE» Se verranno tolte le tariffe saranno in pericolo fino a 20mila addetti Nei primi sei mesi produzione giù dell’1,2%

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