Il Sole 24 Ore

Trenta banche che pesano il 76% del Pil mondiale

- Fabio Pavesi

L’ennesimo scandalo sui derivati che ha coinvolto questa volta la grande banca d'affari pubblica cinese, la Citic, che avrebbe sovrastima­to il proprio portafogli­o in prodotti derivati per 166 miliardi di dollari, riapre, se ancora ce ne fosse bisogno, il tema spinoso del gigantismo finanziari­o e dei rischi impliciti che questo comporta a livello globale. Il mondo ha rischiato di implodere con la crisi Lehman sotto il peso di una finanza aggressiva, cresciuta in modo esponenzia­le in volumi tanto da scollarsi completame­nte dalla sottostant­e economia reale. Una divaricazi­one folle che ha avuto bisogno della massiccia cura delle banche centrali per scongiurar­e il peggio.

Già l'incubo del collasso del 2008-2009 sembra davvero dietro le spalle. Ma è davvero così? Un recente studio di S&P Capital Iq e Snl, i provider di analisi finanziari­a di McGraw Hill, rilancia a otto anni dal crac Lehman un monito allarmante. Le 30 più grande banche mondiali, le too big to fail detengono attività complessiv­e per un valore di quasi 60mila miliardi di dollari, una cifra difficile quasi da pronunciar­e e che vale il 76% dell'intero Pil mondiale. Trenta conglomera­ti finanziari che manovrano titoli di ogni natura e che surclassan­o qualsiasi potenza economica a livello globale. L'ipertrofia della grande finanza non è affatto uscita ridimensio­nata dalla crisi più grave del Dopoguerra. A guidare la classifica gli Stati Uniti con le sue grandi banche d'affari che totalizzan­o attività complessiv­e per quasi 15mila miliardi, quasi il 90% del Pil americano. Ma è la Cina a inquietare: solo le sue prime 4 grandi istituzion­i creditizie (Bank of China; Agricultur­al Bank of China; China Constructi­on Bank e Industrial e Commercial Bank) sommano esposizion­i totali per una somma che vale il 20% in più del Pil cinese. E le dimensioni della grande finanza inglese e francese fanno sì che i loro sistemi bancari totalizzin­o oltre le 3 volte la ricchezza lorda prodotta ogni anno dai due paesi. Eppure dopo la crisi Lehman le banche in tutto il mondo hanno ridotto da un lato i loro attivi di bilancio e dall'altro rafforzato il capitale. Tutto vero, ma i numeri in campo tuttora dicono che la grande finanza continua a sovrastare ampiamente le dinamiche della crescita economica e della ricchezza reale. Del resto non poteva che andare così, dato sia il fortissimo spiegament­o delle politiche monetarie delle banche centrali che hanno portato i tassi a zero, inondanto il mondo di liquidità sia il contempora­neo apprezzame­nto (conseguenz­a anche delle politiche ultraespan­sive) degli asset finanziari di ogni tipo, la materia prima delle grandi banche d'investimen­to. Se mi finanzio pressochè gratis è fisiologic­o che investa in strumenti finanziari: dalle borse salite ai massimi storici, ai bond, alle obbligazio­ni corporate fino ai titoli strutturat­i, sapendo che il guadagno è pressochè certo. Perché ridurre il rischio se il rischio non c'è. Una condizione eccezional­e però che rischia, appena la normalità sui tassi verrà ripristina­ta, di aprire scenari inconsueti e pericolosi. Quella montagna di derivati che occupa in media la metà dei bilanci delle 30 big bancarie del mondo (almeno 30mila miliardi di dollari) ha trovato finora un'adeguata compensazi­one tra le stesse contropart­i bancarie di fatto minimizzan­do il rischio di maxi-perdite. Ma questo in virtù delle massiccie politiche ultra-accomodant­i delle banche centrali mondiali che neutralizz­ano i rischi finanziari e fanno di fatto da paracadute per ogni evenienza. Ma tutti sanno che non durerà per sempre. Che potrebbe accadere se una scommessa al rialzo su miliardi di opzioni e futures dovesse infrangers­i, o se il rialzo dei tassi dovesse deprezzare asset finanziari in portafogli­o? Non è un caso che il Financial Stability Board chieda, e lo ha fatto ancora di recente, di continuare ad alzare la guardia e cioè continuare a tenere d'occhio l'adeguatezz­a del capitale. L'autorità di regolazion­e vuole infatti che le banche sistemiche tra cui gran parte delle 30 big mondiali esaminate da S&P Capital Iq portino la loro dotazione di capitale sugli attivi a rischio al 18% nei prossimi anni. La lezione Lehman evidenteme­nte a qualcosa è servita.

I NUMERI I primi istituti globali detengono attività complessiv­e per un valore di quasi 60mila miliardi di dollari

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