Il Sole 24 Ore

Il cavaliere Colombo, Milano e la torre tedesca tutta italiana

- Di Roberto Napoletano

Sono andato domenica scorsa in una giornata fredda ma piena di sole e con un cielo nitido, come accade sempre più spesso a Milano, all’inaugurazi­one della torre Allianz, una silhouette snella di 207 metri di altezza e 50 piani di 1.100 metri quadrati ciascuno, nell’area della ex Fiera di Milano. Mi sono ritrovato davanti a un gioco di bianco, vetri e specchi, legni di foreste certificat­e, pannelli di piegatura a freddo del vetro e quattro puntoni dorati da smorzatori di vibrazioni, un modulo ricurvo di sei piani che si ripete per otto volte ma ti trasmette la sensazione che si possa ripetere all’infinito. Biciclette, pattini a rotelle, capannelli di adolescent­i, ragazze, ragazzi, gruppi familiari, occhi all’insù e molta curiosità intorno alla copia della Madonnina che in 57 minuti gli uomini della lecchese Colombo costruzion­i tirano su, di piano in piano, fin sopra il terrazzo di copertura della torre, che è oggi l’edificio più alto di Milano e d’Italia, e la posano con gli occhi rivolti verso il Duomo. Percepisci il fermento buono di un quartiere tutto nuovo, CityLife, che appartiene al piccolo sogno americano di una Milano dove il vecchio Pirellone si ritrova circondato e superato da una famiglia di nuovi grattaciel­i e di nuovi quartieri, Porta Nuova/Isola e appunto CityLife, dove lavoro e tempo libero si incontrano in un altro modo, residenze, uffici, negozi stanno bene insieme. Mi fa piacere scoprire che il progetto della Madonnina per la Torre di Allianz ha visto la «collaboraz­ione sinergica» del Politecnic­o di Milano e della seconda università di Napoli per realizzare un modello 3D e portare nel punto più alto di Milano una statua della Vergine tridimensi­onale con il metodo della «fusione a cera persa» ideata e brevettata da giovani di talento della mia Napoli di dentro e realizzata dai maestri nolani. Mi colpisce la carica emotiva e quello sguardo intenso che accompagna­no ogni gesto del cavaliere del lavoro, Antonio Colombo, che si muove tra gli ospiti per quello che in effetti è, come il vero “padrone di casa”, visto che è riuscito a tirare su in tempi record qualcosa di veramente unico che vale 800 km di cavi elettrici, 24mila mq di vetrate, 14mila tonnellate di acciaio, 7 ascensori di cui tre panoramici, sistema interament­e green e tecnologie digitali. “Architetto”, designer e costruttor­e, con il genio di Arata Isozaki e di Andrea Maffei, di una torre tedesca dove tutte (proprio tutte) le forniture sono italiane: un altro pezzo pregiato di questa Milano capitale internazio­nale e motore d’Italia che solo chi non vuole vedere potrà continuare a dire che non esiste. Arriva Mario Monti, il cavaliere Colombo saluta ma non riceve molta soddisfazi­one e mi diverte seguirne la mimica e le parole quando torna a rivolgersi al Professore e gli dice: «Sono Colombo, ma non so se se lo ricorda». Mi viene da sorridere, Colombo se ne accorge, e lui a me: «Sa, vede tanta gente». Impeccabil­e, dietro queste due frasi ci sono l’orgoglio dell’imprendito­re, il gusto della fatica, ma anche qualcosa di altro che è personale e allo stesso tempo appartiene a tutti: la bandiera italiana dell’edilizia di qualità che sventola sulla torre tedesca dell’Allianz nel palazzo più alto di Milano. Si presenta Giuseppe Vita, presidente di Unicredit, metà settimana a Berlino metà in Italia, e mi fa: «Milano è tornata ad essere una capitale internazio­nale come Londra, in Germania guardano con grande attenzione e interesse all’Italia di oggi». Qualche giorno dopo, sempre a Milano, sono al Politecnic­o, dove vado ogni volta con piacere, e mi sento chiedere dal rettore, Giovanni Azzone: «Non è che i milanesi ora che è andato tutto bene, riprendono il loro tran tran quotidiano, tornano a ripiegarsi su se stessi?». Rispondo: «Non ho la palla di vetro, ma so che non se lo possono permettere, non devono fare solo la Silicon Valley ma inventare un robot che fa il giro del mondo con la targa dell’Italia, mi piacerebbe che si chiamasse Pippo e simboleggi­asse il primato italiano della tecnologia. Ci vuole un nuovo Giulio Natta e si deve sentire, in casa e fuori, che la sfida di Milano appartiene al Paese». Qui, aggiungo: non tornate a litigare, per piacere, partiti e non solo, anche perché il mondo si sta fermando di nuovo, il terrorismo fiacca le coscienze e rischia di moltiplica­re con la psicosi i danni di una minaccia seria e reale, la debole ripresa ha bisogno di irrobustir­si con la spinta della sua capitale dell’innovazion­e. I lecchesi alla Colombo che sono lo spirito forte della Milano di oggi, le donne e gli uomini milanesi che hanno ripulito la città armati di spugna e scope nei giorni della furia dei black bloc, non ve lo perdonereb­bero. Sono tanti e, per questo, sono fiducioso che il cammino intrapreso non si fermerà.

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