Il Sole 24 Ore

Crescita brutale dello Yangtze

Otto milioni di abitanti, infrastrut­ture colossali una classe media con buoni salari. E container pieni d’immigrati senza diritti

- Di Giorgio Barba Navaretti

Dal dodicesimo piano dell’Hotel Sofitel di Ningbo si vedono e leggono le contraddiz­ioni della Cina contempora­nea, in transizion­e da nazione smodatamen­te a moderatame­nte prospera (come da piano quinquenna­le appena varato), in pianta sotto i miei occhi, un mondo in miniatura.

Ningbo, città di secondo livello, nella regione del delta dello Yangtze, con otto milioni di abitanti, porto dalle acque profonde a duecento chilometri da Shanghai. Grattaciel­i e cantieri a vista d’occhio. Grattaciel­i belli, moderni, ambiziosi. Sotto, una strada a quattro corsie. Tutte le strade o quasi hanno quattro corsie e poi in lontananza ponti, tunnel, sempre illuminati, un’infrastrut­tura colossale. Le quattro corsie sono divise da uno spartitraf­fico pieno di leziosissi­me piantine, fiori colorati, bassi, multicolor­i, cipressini, piccoli pitosfori. Leziosità brutale: la strada e il suo spartitraf­fico, un ricordo vago e lontano di una civiltà piena di oggetti delicati, leggeri. Porcellane, lacche, sete, geroglific­i, tetti arditi pieni di becchi e beccucci. Tutto o quasi raso al suolo per ricostruir­e, per lasciare il segno monumental­e di questo nuovo impero contempora­neo. Dove la brutalità raggiunge il suo massimo c’è sempre un tocco di leziosità. “Ningbo armoniosa” è scritto su un vecchio muro, che forse un tempo cintava un giardino lussureggi­ante, e ora cantieri, molti cantieri e grattaciel­i che svettano.

Molto traffico, ma non drammatico. automobili nuove o seminuove, soprattutt­o di media cilindrata, molte di gran marca, Bmw, Lexus, Audi…. Chi c’è su quelle automobili, chi abita in quei grattaciel­i? Le classi medie che lavorano nella Cina moderna, arricchite da uno Stato generoso che ha trasferito a prezzo quasi risibile la proprietà delle case il cui valore è poi cresciuto con l’inurbament­o. Classi medie che hanno forse buoni salari, ma soprattutt­o risparmian­o quanto possono e comperano nuove case. Quanto della grande crescita cinese è dovuta a questi investimen­ti immobiliar­i e di infrastrut­tura, una crescita sfrenata di capitale, in parte fatta dallo Stato, in parte attraverso il trasferime­nto dallo Stato agli operatori immobiliar­i di terra a basso prezzo. E se le classi medie si sono arricchite attraverso il risparmio e l’accumulo di capitale immobiliar­e, come faranno le nuove generazion­i ormai tagliate fuori dall’acquisto di una casa per i prezzi troppo elevati, almeno nelle grandi città, forse a Ningbo, certamente a Pechino e a Shanghai?

Studiare e studiare è la parola d’ordine... milioni di laureati. Su un muro al bordo della mia strada a quattro corsie un grande cartello fa pubblicità ai corsi di preparazio­ne per i test d’ammissione delle Università americane: GRE, GMAT, SAT dicono i cartelli, unica scritta o quasi non in caratteri cinesi da qui all’orizzonte. Sola compagna, un po’ più in là, Kentucky Fried Chicken, la dimensione popolare del ponte verso l’Occidente. La strada

Armando Massarenti

| Le strade a quattro corsie e i grattaciel­i di Ningbo, a 200 chilometri da Shanghai alta, l’università americana, e quella bassa, il junk food. Populismo elitario? Incontro diversi studenti universita­ri in questo viaggio. Nel campus di Ningbo dell’Università di Nottingham, una delle teste di ponte delle intense relazioni sino-britannich­e. E nell’Università di Zhejiang a Hangzou, altra città di 7 milioni di abitanti a due ore da Shanghai, antica capitale di questa regione. Gli studenti non sono tranquilli, non pensano di avere davanti a sé una carriera facile, quella che ci aspetterem­mo che fosse riservata a tutti i laureati delle buone università in un Paese

Francesca Barbiero, Cristina Battoclett­i, in così forte crescita. I laureati sono tanti, forse troppi e l’economia moderna non è in grado di assorbirli. Come il Paese avesse deciso di costruire e sviluppare il capitale umano per un’economia che non è ancora pronta ad assorbirlo. Eppure tutta l’infinita e scintillan­te modernità che mi circonda arriva fino a Ningbo partendo dai meraviglio­si grattaciel­i di Shanghai come fosse una modernità dell’hardware, le case e le infrastrut­ture, ma priva del software: gli ingegneri, gli economisti, i manager non sempre sanno che fare.

Sotto i miei occhi non ci sono solo le classi Stefano Biolchini, Antonia Bordignon, Marco Carminati, medie. Proprio di fronte all’albergo lo spartitraf­fico si allarga e dei muri di cartongess­o delimitano un’area, in terra battuta, piena di rifiuti. In fondo c’è una specie di capanna, fuori un passeggino, e una donna che stende dei panni. Chi vive nello spartitraf­fico? Dove sono i poveri, i visibilmen­te poveri di tutte le città del mondo? Nascosti nei container sui cantieri? Protetti da muri di cartongess­o in aree visibili solo dal dodicesimo piano? Nelle città cinesi non si vedono o quasi mendicanti, non ci sono baraccopol­i. La brutalità è una brutalità di cemento, movimento, rumore, rapidità non di miseria. La miseria, la vedo solo laggiù nello slargo dello spartitraf­fico. La crescita cinese ha tolto dalla povertà milioni di persone, anche se la disuguagli­anza è per forza aumentata. Ma poveri ce ne sono ancora moltissimi, dove? Forse in altre regioni, non nel ricco delta dello Yangtze dove l’aspettativ­a di vita alla nascita è pari a quella inglese.

Di fronte, oltre le quattro corsie, un grande cantiere. Container impilati uno sull’altro: le abitazioni degli immigrati, la forza lavoro immensa che ha costruito la Cina contempora­nea. Un’economia fondata sullo spostament­o della forza lavoro ha mantenuto in vita e ancora ha in essere un sistema come lo Hukou, costruito per evitare la mobilità: le popolazion­i urbane in città, quelle rurali in campagna. Solo nel luogo di origine i cinesi hanno accesso a servizi di base come casa, istruzione, sanità. Gli immigrati possono spostarsi, ma non hanno diritti, non possono avere l’ambizione di costruirsi un futuro dove lavorano. Vivono nelle baracche e rimangono legati al cantiere o alla fabbrica. Ora il sistema è in corso di riforma. Ma il paradosso rimane, la Cina contempora­nea è stata costruita dall’inurbament­o di popolazion­i rurali, che inurbandos­i perdevano i loro diritti di cittadinan­za.

Più in là, un’infinita distesa di edifici bassi, Eliana Di Caro, Lara Ricci, Stefano Salis le fabbriche. La ricchezza cinese è fondata sulle fabbriche e sulle esportazio­ni, oltre che su infrastrut­tura e real estate. Fabbriche alimentate da milioni di lavoratori, i maggiori produttori di valore aggiunto industrial­e del mondo. Ma ora questo processo ha raggiunto un limite: la riserva di lavoro a basso costo è finita. Soprattutt­o nelle regioni più avanzate intorno a Shanghai, il costo del lavoro è cresciuto moltissimo. La riserva delle campagne si è esaurita. In parte per l’invecchiam­ento della popolazion­e, la politica demografic­a di un solo figlio; in parte perché i giovani che arrivano in città non sono più interessat­i a lavorare in fabbrica. La manifattur­a non è più il simbolo della modernità di un tempo. I nuovi idoli non sono gli assemblato­ri di computer come Foxconn o le infinite linee di cucitori di vestiti. I nuovi idoli sono Alibabà, Huawei e la telefonia mobile, l’iphone (ma non il suo assemblagg­io, appunto fatto da Foxconn), i grandi magazzini pieni di luccicanti prodotti, i monomarca di Cartier, Dolce e Gabbana o Gucci. È troppo siderale la distanza tra le luci di Cartier sulla Nanjing Avenue di Shanghai e la linea di una fabbrica. I giovani non vogliono più lavorare, hanno modelli diversi dai loro genitori. L’industria cinese è arrivata a un punto in cui deve trasformar­si, passare da una crescita fondata sulla quantità, ossia investimen­ti e forza lavoro, a una crescita fondata sulla qualità e sulla ricerca. Certo ci sono anche industrie alla frontiera e in molte attività ci sono segnali di un aumento rapido della produttivi­tà, Ma il cuore della produzione industrial­e del Paese è comunque fatto di infinite aziende senza marca che trasforman­o beni da esportazio­ne di bassa qualità. Nella massa industrial­e del paese l’high tech non c’è.

Intanto la leziosità brutale che si ammira dal dodicesimo piano del Sofitel ci ricorda comunque quanti straordina­ri passi avanti siano stati fatti fin qui. E che i semi di modernità piantati e già ben cresciuti potranno forse trasformar­si in un processo di crescita più equilibrat­o e sostenibil­e. Ma allo stesso tempo ci fanno vedere delle contraddiz­ioni profonde che richiedono trasformaz­ioni che non è detto che la Cina saprà gestire nel suo prossimo futuro.

barba@unimi.it

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