Il Sole 24 Ore

Narratori in trincea

Un volume raccoglie, accanto ai protagonis­ti riconosciu­ti del racconto in presa diretta della Grande Guerra, altri ottimi autori meno noti

- Di Lina Bolzoni © RIPRODUZIO­NE RISERVATA Il racconto italiano della grande guerra. Narrazioni, corrispond­enze, prose morali (1914-1921), a cura di Emma Giammattei, Gianluca Genovese, Riccardo Ricciardi Editore, MilanoNapo­li, pagg. 1110, € 80,00

Come viene raccontata la grande guerra, in presa diretta, dagli scrittori italiani? Questa domanda sta alla base del volume della nuova collana Ricciardi (diretta da Carlo Ossola e pubblicata dall’Encicloped­ia italiana) magistralm­ente curato da Emma Giammattei, con la collaboraz­ione di Gianluca Genovese: a lui si devono la cura filologica dei testi, le note e la ricca bibliograf­ia, un vero e proprio strumento di lavoro, utile anche per chi vorrà proseguire le ricerche in un campo che si rivela più ricco e stimolante di quanto in genere si crede. L’ambizione del volume è infatti quella di mostrare come, intorno al tema del racconto della grande guerra, si possa ricostruir­e anche un intero settore della nostra storia letteraria: accanto a protagonis­ti riconosciu­ti, si propongono autori meno noti, di cui si rivendica la qualità letteraria (come Luigi Ambrosini), oppure si offrono testi finora trascurati, o passati ingiustame­nte in secondo piano. Costante è inoltre l’attenzione all’intreccio che l’esperienza letteraria ha con le questioni politiche e filosofich­e che vivono nel cuore di un’esperienza storica complessa e tragicamen­te densa di futuro.

Nello stesso tempo si rifiuta di adottare l’ottica del poi, ci si vuole confrontar­e piuttosto con la mappa degli anni della guerra, dai suoi presentime­nti (ben rappresent­ati nel romanzo di Alfredo Panzini) fino a Viva Caporetto di Malaparte , del 1921, un testo provocator­io e ricco di analisi di impression­ante lucidità. Per questo l’ottica, come si diceva, è quella della presa diretta, del racconto scritto da subito, di prima mano: di qui la scelta della prima edizione, della «prima volta», non di quella rivista e ricorretta, riaggiusta­ta sotto la spinta di diversi fattori, politici e\o stilistici, oppure censurata. Si attira insomma l’attenzione sul fatto che i libri della grande guerra sono diversi da quelli sulla grande guerra .

Si è inoltre scelto di proporre testi completi, con una ricca annotazion­e che si avvale di epistolari, di ricerche di archivio, dei rimandi che si creano fra i testi stessi e, naturalmen­te, dei giornali. La grande guerra sperimenta infatti il potere della comunicazi­one di massa (si pensi a D’Annunzio, al trionfo della «nuova retorica», e alla «guerra dei giornalist­i» stigmatizz­ata da Croce) e molti testi proposti nascono come corrispond­enze giornalist­iche. L’idea della «mobilitazi­one totale» ha del resto nei giornali una grande cassa di risonanza.

Punto di partenza della ricca introduzio­ne e filo rosso che si dipana attraverso i testi è il rapporto fra l’evento e il «racconto», tra la realtà, l’esperienza e la possibilit­à, o meno, di rappresent­arla e di narrarla. Un tema che di recente ha appassiona­to gli storici, soprattutt­o nel mondo anglosasso­ne, e che qui viene ripercorso in chiave italiana (e insieme europea): il topos della «battaglia inconoscib­ile», non narrabile, si nutre di una forte memoria letteraria, che ha al centro, naturalmen­te, il Tolstoj di Guerra e pace, ma che convoca anche Maupassant e Kipling e soprattutt­o Stendhal. Si ricorda ad esempio la discussion­e che su questi temi (e su altri ad essi legati) coinvolge due dei protagonis­ti di questo libro, Renato Serra e Benedetto Croce: il primo invia il manoscritt­o della sua Partenza di un gruppo di soldati per la Libia a Croce, che gli aveva mandato la memoria Storia cronaca e false storie. Se la battaglia (e tanto più la guerra) non si può prevedere e pianificar­e, se il punto di vista di chi vive e osserva quell’esperienza è necessaria­mente parziale, accecato e frammentar­io, per cui la battaglia non si può conoscere, né ricordare, e quindi tanto meno narrare, ne conseguira­nno, anche dal punto di vista formale, scelte diverse: la denuncia della impossibil­ità della narrazione oppure la descrizion­e in presa diretta, con un realismo frammentat­o (le note prese a lapis sul taccuino, ad esempio), o ancora un racconto di singoli episodi e esperienze che non rinuncia a leggervi un senso più profondo.

La questione teorica della possibilit­à o meno di raccontare la battaglia (e la guerra) acquista così, attraverso la lettura dei testi, una particolar­e densità, declinata com’è nel vivo delle diverse scritture. Si vede bene ad esempio come una guerra partita fra grandi entusiasmi, spesso ispirati dal mito della battaglia eroica e risolutiva, impone da subito una ben diversa realtà: quella dei massacri inutili, del logorament­o della vita di trincea, dove in primo piano viene la tragica evidenza del corpo martoriato; si tratta dunque di una guerra, come ha notato Giuseppe Galasso, che consuma il mito della battaglia di cui si era nutrita.

Pur nella diversità degli accenti e delle soluzioni stilistich­e, molto forte resta il senso della distanza fra i nostri letterati e la massa dei soldati, per lo più analfabeti e portatori di una grande varietà linguistic­a. Di tutto questo, come ha osservato Luca Serianni, resta ben poco: i dialettism­i compaiono qua e là come semplici note di colore e, se la trincea appare come una culla, i soldati vengono percepiti come fanciulli; il rapporto con loro si configura come quello pedagogico fra maestro e discepolo, fra madre e bambino. Il riconoscim­ento del nemico, anche del nemico morto, è difficile, è un punto di arrivo, anche quando in comune c’è la lettura. Esemplare in questo senso è l’incontro di Soffici con il cadavere di un austriaco che leggeva Schopenhau­er: «giacevano, l’uno accanto all’altro, tre cadaveri, tumefatti, lividi, il viso e le mani abbruciacc­hiati senza più nulla di umano. Sembravano tre mucchi di cenci o di spazzatura… Accanto a quello che m’era più vicino, biancheggi­ava un libro nuovo, che più tardi raccolsi e portai con me. Era Il Mondo come Volontà e Rappresent­azione di Shopenhaue­r, in una di quelle edizioni di gusto tedesco, linde, corrette e odiose. Se lo spettacolo che m’era davanti non fosse stato tanto accorante, ci sarebbe stato da ridere, a veder la sorte toccata a quel lettore pessimista. Ma no, non era il momento di ridere. La morte in battaglia, è così vicina a tutti, che ci si sente portati a rispettarl­a anche nel nemico».

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narrazione cinematogr­afica | Un’immagine celebre di «La Grande Guerra» (1959), il film di Mario Monicelli con Alberto Sordi e Vittorio Gassman
PHOTOMOVIE narrazione cinematogr­afica | Un’immagine celebre di «La Grande Guerra» (1959), il film di Mario Monicelli con Alberto Sordi e Vittorio Gassman

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