Un Mega Ego pontifica sugli«eghini»
Di solito, quando si scrive un libro, si ha una storia da raccontare. Magari non del tutto originale, non esattamente inedita, forse priva della gittata memorabile di un'idea rivoluzionaria, ma uno spunto, un appiglio, una vaga ispirazione deve proprio esserci.
È probabile che l'illuminazione di Ognuno potrebbe, ultimo romanzo di Michele Serra, sia racchiusa nell'immagine di copertina: un uomo in camicia e gilet con la testa da cinghiale. È infatti a lui che sono dedicati gli unici tre episodi narrativi di tutto il romanzo, le sole pagine in cui accade qualcosa – incontri di vario tipo coi bestioni suiniformi: non è quello che avete sempre sperato di leggere? –, per il resto, il libro contiene una sfilza infinita e spesso insopportabile di commenti, divagazioni, sparate, su qualunque tema (interi capitoli sono dedicati al “mistero delle rotonde stradali”) liquidato con la spocchia tipica di chi conosce Le Cose Davvero Importanti Della Vita, ma si guarda bene dal raccontarle, tanto comunque troverebbe un uditorio impreparato, fatto di complottisti, animalisti, sostenitori delle scie chimiche: li chiameremo La Manica Di Cretini, ai quali l'autore guarda con bonaria e rassegnata commiserazione. E che siamo noi tutti, se non l'avete capito. E invece lui, il narratore/protagonista, chi è? Un improbabile trentaseienne, che si esprime come un manuale di inizio secolo (”brancico, frombolano, favilla, bellurie, nereggia, trottigna, alterigia, insulsaggine, decrepitezza, obsolescenti”), e poi infila un colloquiale “merda” ogni due per tre (la chiameremo: la fase repentinamente scatologica); un tizio che commenta il disagio esistenziale a colpi di didascalie (”ho l'indefinitezza di un giovane e la disillusione di un anziano”) e azzarda considerazioni generazionali che manco mì nonna (”questi qui hanno qualche porcheria in più nello stomaco, pasticche che rendono pimpanti o beveroni che rendono allegri”).
Il non-tema di non-conversazione da lui preferito è – udite udite – la critica all'ipertecnologizzazione dell'uomo contemporaneo, portata avanti grazie a squisiti neologismi e stuzzicanti ficcate etimologiche: gli individui sono “digitambuli” che soffrono della “sindrome dello Sguardo Basso”, interagiscono mediante “egòfono”, coi “volti inabissati” sugli schermi luminosi, e non fanno altro che produrre selfie, o meglio “sestessini, autini, eghini”. Se sentite un'improvvisa folata di vento, non preoccupatevi: è la straordinaria originalità di questa raffinata lettura antropologica che vi sfreccia accanto.
Nella noia della ripetizione parossistica dei concetti di fondo, nello sfoggio borioso della padronanza della scena sociale a scapito della Manica Di Cretini, nella fatica di non raccontare niente per pagine e pagine, nelle frasette a effetto (”io sono nato anacronistico”, caro Michele, il comico Paolo Rossi ha coniato l'espressione “io sono nato metafisico” probabilmente nel pleistocene, e da allora la infila in ogni spettacolo: certo, è un pelo ripetitivo, ma almeno continua a fare ridere. Lui.), negli improvvisi ritorni alla fase scatologica giusto per sferzare la non-storia di singulti di gioventù caricaturale, il romanzo a pagina 152 giunge al termine.
E questo poteva tranquillamente succedere parecchio prima, per la precisione a pagina 89, quando, il nostro si concede un unico, prezioso, istante di lucidità: “Un passo indietro e una parola di meno. A cominciare da me, che sto decisamente parlando troppo di me stesso”.