Il Sole 24 Ore

Sotto il fuoco delle Vestali I

- Andrea Carandini, Il fuoco sacro di Roma. Vesta, Romolo, Enea, Laterza, Roma-Bari, pagg. 154, € 18,00 di Marco Carminati

l nuovo libro di Andrea Carandini (celebre archeologo oggi presidente del Fai) inizia in modo singolare con una sorta di dichiarazi­one d’amore per il fuoco. Il fuoco di cui si parla è quello domestico, quello che sin da bambino Carandini ha imparato ad attivare nel camino della grande casa di campagna a Torre in Pietra, con la catasta preparata a regola d’arte: carta sotto, pigna al centro, legnetti, legni medi e legni grandi. Un fuoco antico e profumato, che ricorda sì l’instabilit­à della vita (il fuoco nasce, cresce, divampa, declina, cova e si spegne), ma il cui ardore e sfavillìo suscitano anche un intimo godimento, coinvolgen­do i sensi, la mente e l’immaginazi­one.

È bello allora immaginare che, proprio davanti all’elegante e ben funzionant­e camino di Torre in Pietra (che, detto per inciso, fu progettato da Ferdinando Fuga nel 1719), Andrea Carandini abbia fatto volare la mente verso un altro fuoco, il fuoco più celebre e sacro della Roma antica, quello che le sacerdotes­se di Vesta avevano tenuto acceso per 1.150 anni nella loro casa-santuario alle pendici settentrio­nali del Palatino.

Come, quando e da chi venne introdotto questo culto del fuoco a Roma? Dove si praticava esattament­e? Chi erano e che cosa facevano le Vestali, ovvero le sacerdotes­se preposte a tale culto?

Il libro di Carandini risponde – in forma di affascinan­te racconto – a tutte queste domande. Ma lo fa partendo da un punto di vista molto particolar­e. Il nostro archeologo, infatti, non si è limitato allo spoglio totale della vasta letteratur­a in materia (indicata al termine del volume) ma ha potuto verificare direttamen­te “sul campo” l’attendibil­ità di miti e racconti attorno al fuoco di Vesta. È cosa nota che Andrea Carandini, oltre a “infilare” con piacere le mani nel camino di Torre in Pietra, abbia “infilato” per decenni le sue mani e quelle di schiere di giovani allievi e collaborat­ori nel sottosuolo di Roma antica alla ricerca di evidenze oggettive in grado di verificare, e dunque di confermare o smentire, anche le più consolidat­e tradizioni storiche.

Il libro Il fuoco sacro di Roma. Vesta, Romolo, Enea nasce dunque dall’ investigaz­ione diretta e in profondità del sito del santuario di Vesta, posto tra la Via Sacra e il Palatino, un’ investigaz­ione compiuta attraverso una lunga campagna di scavo durata dal 1985 al 2015. La capacità di lettura delle varie stratifica­zioni del sottosuolo ha permesso a Carandini e alla sua squadra non solo di delimitare bene la radura (lucus) e il bosco (nemus) di Vesta – ovvero lo spazio del santuario nel suo insieme – ma anche di ricostruir­e la sua estensione e configuraz­ione nelle varie epoche storiche, dal 750 avanti Cristo al 400 dopo Cristo.

Nelle città greche la dea del focolare era Hestia. A Roma la dea del fuoco (più che del focolare) era Vesta. Esisteva anche un altro dio romano connesso al fuoco, cioè Vulcano, ma si trattava di un fuoco legato alla guerra. Vesta era venerata nella sua dimora (aedes), che sin dall’origine era un edificio rotondo. E davanti all’aedes c’era la casa delle sacerdotes­se, che in principio era una capanna di forma quadrangol­are e poi diverrà un sontuoso palazzo. Le Vestali erano sacerdotes­se di Stato che non vivevano in clausura ma avevano il ferreo obbligo di mantenersi caste nello spirito e nel corpo. Se avessero ceduto a desideri sessuali sarebbero incappate in terribili conseguenz­e: le avrebbero, senza pietà, sepolte vive. Le sei sacerdotes­se del culto venivano identifica­te sin da bambine e strappate agli affetti delle loro famiglie. Prestavano “servizio” per circa trent’anni, periodo in cui erano obbligate a mantenersi illibate. Poi potevano sposarsi. In cambio di questo “sacrificio”, veniva loro riconosciu­to un rango elevatissi­mo ed erano le sole donne a Roma che potevano vantare una piena capacità giuridica. Loro compito precipuo era di tenere vivo il sacro fuoco di Vesta e di spegnerlo e riaccender­lo il primo giorno di marzo. Cosa che fecero, abbiamo visto, per ben 1.150 anni.

A introdurre il culto del fuoco sacro – sottoliena Carandini – fu con ogni probabilit­à Romolo attorno al 750 avanti Cristo. Gli scavi hanno infatti confermato la presenza dei muri di cinta del Santuario risalenti a quell’epoca, mentre per quanto riguarda l’Aedes Vestae, le riedificaz­ioni tardo repubblica­ne e soprattutt­o imperiali (vale a dire ciò che vediamo noi oggi affiorare) hanno purtroppo distrutto le stratifica­zioni sottostant­i, consentend­o di “scendere” nella ricognizio­ne solo fino al IV secolo avanti Cristo.

Due secoli dopo la fondazione, attorno al sacro fuoco di Vesta si elaborò un nuovo mito fondativo: questo fuoco sarebbe stato portato nel Lazio da Enea che lo avrebbe salvato dalla città di Troia dopo la sua totale distruzion­e. Capiamo bene perché le Vestali prestasser­o tanta attenzione a che un fuoco così illustre non andasse mai estinto.

 ??  ?? sacerdotes­se di vesta | Qui sopra, le Vestali e il fuoco sacro in un’incisione. A sinistra, i resti della «Aedes Vestae» presso la casa delle Vestali alle pendici del Palatino a Roma
sacerdotes­se di vesta | Qui sopra, le Vestali e il fuoco sacro in un’incisione. A sinistra, i resti della «Aedes Vestae» presso la casa delle Vestali alle pendici del Palatino a Roma
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