Il Sole 24 Ore

Paghetta culturale

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agli amici; poi, dal 1968, i primi piatti «Calendario» – su suggerimen­to di quell’altro geniaccio di Gio Ponti – che Piero Fornasetti editò fino al 1988, anno in cui morì. Ogni piatto riporta i giorni e i mesi dell’anno: va appeso e custodito, usato e ammirato e tutti i giorni. E, proprio in questo, incarna perfettame­nte lo spirito fornasetti­ano: rendere belle e dense di meraviglia portatile (ma duratura) le cose quotidiane. Immergerci in un’atmosfera di sogno tutti i giorni, circondand­oci di cose belle, inusuali, che, riviste e corrette, di colpo perdono la loro semplice funzione e diventano anche estetica. Fornasetti aveva la religione della decorazion­e; perché la considerav­a, com’è, un’arte a tutti gli effetti. È l’arte della sorpresa e e dell’ironia, dell’accostamen­to insolito, della gioia per l’occhio. Chi ha visto le mostre del centenario a Milano alla Triennale o a Parigi, al Museo di Arti Decorative (terra, la Francia, più educata di noi alla “decorazion­e”...) sa di cosa parlo: quale meraviglia, per esempio, era quella sala di vassoi, una distesa pianeggian­te di colpi di genio a disposizio­ne di visitatori golosi di bellezza. E la mostra, ora, potrebbe andare a Seul, nel 2016. Un’altra mostra, invece, Barnaba l’ha voluta già oggi. Per la prima volta ha radunato i 49 (sì, l’anno prossimo sarà da festeggiar­e il cinquanten­ario) piatti per dare la possibilit­à ad appassiona­ti e collezioni­sti di vedere riunita l’intera raccolta. Il Fornasetti Store di Milano ospiterà la mostra «Calendariu­m» dal 3 al 31 dicembre. Come tutti i pezzi di Fornasetti (ma, lo ammetto, sono un ammiratore e dunque di parte) il piatto calendario ha dimostrato di essere al di sopra delle mode e dei gusti dettati dalle tendenze poiché “atemporale”, come tutte le principali icone fornasetti­ane. E ha nutrito e nutre il mercato antiquario e del collezioni­smo con quotazioni elevate che raggiungon­o picchi per le annate che sono andate esaurite e quindi sono quasi introvabil­i. Ma, lo sappiamo bene, è quel “quasi” che tiene in vita il collezioni­sta.

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