Innovazioni dirompenti per individui responsabili
Robotica, nanotecnologie, stampa 3D disegnano una economia decentralizzata. Dove il consumatore è pure attore della produzione
Bob Gordon, professore di economia alla Northwestern University, è tra i più accesi sostenitori del pessimismo tecnologico. Da anni, con saggi e interviste stimolanti e dibattute, sostiene la tesi secondo cui i giorni gloriosi della crescita economica sarebbero ormai alle nostre spalle. Anche la terza rivoluzione industriale - quella dei computer, di internet, dei telefoni cellulari - che a partire dal 1960 ha cambiato il mondo, avrebbe esaurito la sua spinta propulsiva. Indicativo il titolo dell’intervento che egli tenne a Ted, nel 2013: The death of innovation, the end of growth.
Con quella lezione, Gordon presentava un lavoro pubblicato pochi mesi prima. In molti dissentirono. Tra questi, l’economista Paul Krugman, che sulle pagine di questo giornale scrisse senza mezzi termini che Gordon si sbagliava. Che la rivoluzione dell’information technology era appena cominciata. Krugman argomentava e provocava così: «Immaginiamo uno scenario tecnologico in cui siamo in grado di produrre robot intelligenti in grado di fare tutto quello che può fare una persona (...). Basterebbe incrementare costantemente il rapporto robot/esseri umani e potremmo raggiungere qualunque livello di Pil desideriamo». Con una coda di pessimismo, Krugman ammetteva anche, però, che i progressi verso le macchine pensanti erano lenti. Lo scenario, immaginato, non stava per accadere.
Tre anni dopo, la quarta rivoluzione industriale prende forma. Pare di nuovo possibile il fiorire di innovazioni dirompenti, capaci di generare crescita economica. I segnali si moltiplicano. Un esempio è l’analisi sui trend emergenti nel campo della registrazione dei brevetti nel mondo (World intellectual property report 2015. Breakthrough innovation and economic growth). Sembra scritta con l’intento di rispondere a Gordon e ai pessimisti tecnologici, identificando le tre forze che stanno (già) generando ondate di innovazione dirompente: la robotica, le nanotecnologie e la produzione additiva (stampa 3D).
La tendenza in atto in questi tre settori è illustrata anche dall’infografica pubblicata in queste pagine: negli ultimi due decenni i brevetti in queste tre aree sono aumentati costantemente, con Giappone e Stati Uniti alla testa di un piccolo gruppo di Paesi che guida lo sviluppo.
Non si tratta di coltivare un ingenuo ottimismo tecnologico. Né di fermarsi alla sommatoria delle invenzioni registrate. «I brevetti spiega Andrea Bonaccorsi, professore di ingegneria economico-gestionale all’Università di Pisa - vengono usati non solo per promuovere le innovazioni, e garantire così agli investitori un ritorno dell’investimento più alto, ma anche per bloccare l’innovazione altrui». La guerra dei brevetti potrebbe falsare le statistiche. «Non è neanche detto - avverte Bonaccorsi - che i brevetti diano luogo al fenomeno del cambiamento nello stesso luogo in cui sono stati registrati. Si tende a brevettare dove c’è forte concorrenza: ma l’innovazione segue strade globali». Poi c’è il tema dell’innovazione difficile da brevettare e che sfugge alle statistiche, che riguarda tra gli altri anche l’Italia, che si distingue per quello che Bonaccorsi definisce il modello di «innovazione senza ricerca» (si veda anche l’articolo sotto).
«Il merito del rapporto Wipo - spiega Ezio Andreta, presidente dell’Agenzia per la promozione della ricerca europea (Apre) - è piuttosto quello di concentrarsi su tre direttrici che colgono tre rivoluzioni in atto. Non si produce più centralmente, ma dove si consuma. Si fa viaggiare la conoscenza. Si produce “dal basso verso l’alto”, aggiungendo funzioni alla materia». Le prime due rivoluzioni saranno abilitate da robotica e produzione additiva. La terza dalle nanotecnologie. Con interconnessioni sempre più frequenti. Ottimista tecnologico (non ingenuo), Andreta vede nel connubio software/robotica e produzione additiva/nuovi
materiali, il nuovo «triangolo della produzione». Dove internet è un punto di partenza, «l’autostrada», non un punto di arrivo.
Non a caso anche i giganti del web nati dalla terza rivoluzione industriale, stanno considerando la manifattura del futuro, l’industria 4.0, come promettente settore di crescita. Si pensi a Google. Tra gli investimenti e i progetti industriali strategici di Big G c’è Uber. Diversi progetti nel campo dei droni (Project Wing, Titan Logistics). Ma anche l’acquisizione di Nest, produttore di sensori intelligenti, e lo sviluppo dell’auto che guida da sola. Google ha anche investito nella robotica, con l’acquisto di 8 società del settore per testare linee di produzione automatizzata. E ancora i Google Glass e le lenti per il monitoraggio dei livelli di zucchero nel sangue. Dinamiche simili sono in atto, per esempio, presso Apple e Amazon. E confermano, se ce ne fosse bisogno, qual è la direzione da cui vedremo arrivare il futuro.
La nuova industria globale sarà «un cervello», capace di generare prodotti molto sofisticati. Allora, in questo nuovo triangolo della produzione - dove a viaggiare sarà soprattutto la conoscenza - appare sempre più chiaro il ruolo abilitatore dei big data. Serviranno per costruire prodotti personalizzati: dalle medicine al cibo. «Le nuove macchine analizzeranno milioni di dati, per poterli comparare con il dato individuale. E quindi produrre il prodotto di cui ha bisogno il singolo individuo», spiega Andreta.
Le tre rivoluzioni di cui parla il presidente dell’Apre rovesciano i paradigmi, e insieme il modo di pensare, di agire e di organizzare ciò che costruiamo e consumiamo. «In questo tipo di produzione molto personalizzata, non solo l’individuo diventa attore, ma diventa responsabile di quello che fa». Se attuato, registreremo un passaggio da un’economia centralizzata a una decentralizzata e responsabilizzata, dove è l’individuo che decide. «Avremo la possibilità, come in nuovo rinascimento, di agire mettendo insieme creatività, cultura, competitività e conoscenze»; in questo scenario, anche gli aspetti «del rischio e dell’accettabilità sociale delle nuove tecnologie diventno cruciale».
Nella nuova economia responsabilizzata, il progresso non sarà allora il frutto del nostro ottimismo o pessimismo verso le tecnologie. Ma - ancora una volta e come mai nel passato del modo in cui decideremo di usarle.