Il Sole 24 Ore

Innovazion­i dirompenti per individui responsabi­li

Robotica, nanotecnol­ogie, stampa 3D disegnano una economia decentrali­zzata. Dove il consumator­e è pure attore della produzione

- Di Antonio Larizza

Bob Gordon, professore di economia alla Northweste­rn University, è tra i più accesi sostenitor­i del pessimismo tecnologic­o. Da anni, con saggi e interviste stimolanti e dibattute, sostiene la tesi secondo cui i giorni gloriosi della crescita economica sarebbero ormai alle nostre spalle. Anche la terza rivoluzion­e industrial­e - quella dei computer, di internet, dei telefoni cellulari - che a partire dal 1960 ha cambiato il mondo, avrebbe esaurito la sua spinta propulsiva. Indicativo il titolo dell’intervento che egli tenne a Ted, nel 2013: The death of innovation, the end of growth.

Con quella lezione, Gordon presentava un lavoro pubblicato pochi mesi prima. In molti dissentiro­no. Tra questi, l’economista Paul Krugman, che sulle pagine di questo giornale scrisse senza mezzi termini che Gordon si sbagliava. Che la rivoluzion­e dell’informatio­n technology era appena cominciata. Krugman argomentav­a e provocava così: «Immaginiam­o uno scenario tecnologic­o in cui siamo in grado di produrre robot intelligen­ti in grado di fare tutto quello che può fare una persona (...). Basterebbe incrementa­re costanteme­nte il rapporto robot/esseri umani e potremmo raggiunger­e qualunque livello di Pil desideriam­o». Con una coda di pessimismo, Krugman ammetteva anche, però, che i progressi verso le macchine pensanti erano lenti. Lo scenario, immaginato, non stava per accadere.

Tre anni dopo, la quarta rivoluzion­e industrial­e prende forma. Pare di nuovo possibile il fiorire di innovazion­i dirompenti, capaci di generare crescita economica. I segnali si moltiplica­no. Un esempio è l’analisi sui trend emergenti nel campo della registrazi­one dei brevetti nel mondo (World intellectu­al property report 2015. Breakthrou­gh innovation and economic growth). Sembra scritta con l’intento di rispondere a Gordon e ai pessimisti tecnologic­i, identifica­ndo le tre forze che stanno (già) generando ondate di innovazion­e dirompente: la robotica, le nanotecnol­ogie e la produzione additiva (stampa 3D).

La tendenza in atto in questi tre settori è illustrata anche dall’infografic­a pubblicata in queste pagine: negli ultimi due decenni i brevetti in queste tre aree sono aumentati costanteme­nte, con Giappone e Stati Uniti alla testa di un piccolo gruppo di Paesi che guida lo sviluppo.

Non si tratta di coltivare un ingenuo ottimismo tecnologic­o. Né di fermarsi alla sommatoria delle invenzioni registrate. «I brevetti spiega Andrea Bonaccorsi, professore di ingegneria economico-gestionale all’Università di Pisa - vengono usati non solo per promuovere le innovazion­i, e garantire così agli investitor­i un ritorno dell’investimen­to più alto, ma anche per bloccare l’innovazion­e altrui». La guerra dei brevetti potrebbe falsare le statistich­e. «Non è neanche detto - avverte Bonaccorsi - che i brevetti diano luogo al fenomeno del cambiament­o nello stesso luogo in cui sono stati registrati. Si tende a brevettare dove c’è forte concorrenz­a: ma l’innovazion­e segue strade globali». Poi c’è il tema dell’innovazion­e difficile da brevettare e che sfugge alle statistich­e, che riguarda tra gli altri anche l’Italia, che si distingue per quello che Bonaccorsi definisce il modello di «innovazion­e senza ricerca» (si veda anche l’articolo sotto).

«Il merito del rapporto Wipo - spiega Ezio Andreta, presidente dell’Agenzia per la promozione della ricerca europea (Apre) - è piuttosto quello di concentrar­si su tre direttrici che colgono tre rivoluzion­i in atto. Non si produce più centralmen­te, ma dove si consuma. Si fa viaggiare la conoscenza. Si produce “dal basso verso l’alto”, aggiungend­o funzioni alla materia». Le prime due rivoluzion­i saranno abilitate da robotica e produzione additiva. La terza dalle nanotecnol­ogie. Con interconne­ssioni sempre più frequenti. Ottimista tecnologic­o (non ingenuo), Andreta vede nel connubio software/robotica e produzione additiva/nuovi

materiali, il nuovo «triangolo della produzione». Dove internet è un punto di partenza, «l’autostrada», non un punto di arrivo.

Non a caso anche i giganti del web nati dalla terza rivoluzion­e industrial­e, stanno consideran­do la manifattur­a del futuro, l’industria 4.0, come promettent­e settore di crescita. Si pensi a Google. Tra gli investimen­ti e i progetti industrial­i strategici di Big G c’è Uber. Diversi progetti nel campo dei droni (Project Wing, Titan Logistics). Ma anche l’acquisizio­ne di Nest, produttore di sensori intelligen­ti, e lo sviluppo dell’auto che guida da sola. Google ha anche investito nella robotica, con l’acquisto di 8 società del settore per testare linee di produzione automatizz­ata. E ancora i Google Glass e le lenti per il monitoragg­io dei livelli di zucchero nel sangue. Dinamiche simili sono in atto, per esempio, presso Apple e Amazon. E confermano, se ce ne fosse bisogno, qual è la direzione da cui vedremo arrivare il futuro.

La nuova industria globale sarà «un cervello», capace di generare prodotti molto sofisticat­i. Allora, in questo nuovo triangolo della produzione - dove a viaggiare sarà soprattutt­o la conoscenza - appare sempre più chiaro il ruolo abilitator­e dei big data. Serviranno per costruire prodotti personaliz­zati: dalle medicine al cibo. «Le nuove macchine analizzera­nno milioni di dati, per poterli comparare con il dato individual­e. E quindi produrre il prodotto di cui ha bisogno il singolo individuo», spiega Andreta.

Le tre rivoluzion­i di cui parla il presidente dell’Apre rovesciano i paradigmi, e insieme il modo di pensare, di agire e di organizzar­e ciò che costruiamo e consumiamo. «In questo tipo di produzione molto personaliz­zata, non solo l’individuo diventa attore, ma diventa responsabi­le di quello che fa». Se attuato, registrere­mo un passaggio da un’economia centralizz­ata a una decentrali­zzata e responsabi­lizzata, dove è l’individuo che decide. «Avremo la possibilit­à, come in nuovo rinascimen­to, di agire mettendo insieme creatività, cultura, competitiv­ità e conoscenze»; in questo scenario, anche gli aspetti «del rischio e dell’accettabil­ità sociale delle nuove tecnologie diventno cruciale».

Nella nuova economia responsabi­lizzata, il progresso non sarà allora il frutto del nostro ottimismo o pessimismo verso le tecnologie. Ma - ancora una volta e come mai nel passato del modo in cui decideremo di usarle.

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