Il Sole 24 Ore

L’ARCHITETTU­RA CHE FA RIDERE

Ricostruit­a la storia delle vignette satiriche e delle illustrazi­oni umoristich­e che negli ultimi due secoli hanno esercitato un ruolo critico verso opere e protagonis­ti della creazione architetto­nica

- Di Gabriele Neri

incredibil­e il numero di caricature, vignette satiriche e illustrazi­oni umoristich­e che negli ultimi due secoli hanno esercitato un ruolo critico attivo verso il mondo dell’architettu­ra e dei suoi protagonis­ti. Dall’Ottocento in avanti la grafica satirica, nelle sue molteplici espression­i, ha infatti dedicato un’attenzione straordina­ria al lavoro degli architetti, registrand­one la profonda influenza sulla società e mettendone in luce, in modo spesso spietato, i punti deboli. Le grandi e sofferte trasformaz­ioni urbanistic­he (dalla Parigi di Haussmann alle periferie sovietiche); gli edifici pensati per un pubblico di massa (dal Crystal Palace del primo Expo al Guggenheim di Bilbao); la rivoluzion­e dei modelli abitativi e la personalit­à degli architetti (da Frank Lloyd Wright a Renzo Piano) hanno stimolato la matita di artisti eccezional­i, capaci di sintetizza­re in poche linee i caratteri più rappresent­ativi di tali fenomeni e le relative contraddiz­ioni. Tra questi ci sono Honoré Daumier, George Cruikshank, Thomas Theodor Heine, W. Heath Robinson, Louis Hellman, Alan Dunn, Mino Maccari, Leo Longanesi, George Molnar, Saul Steinberg e tanti altri.

Grazie a un’estesa ricerca condotta in diversi paesi, si è tentato di mettere insieme, per la prima volta, questo straordina­rio materiale iconografi­co – provenient­e soprattutt­o da quotidiani e periodici – nel tentativo di comporre una storia dell’architettu­ra “alternativ­a”. Infatti, se con la diffusione dei mass media anche gli architetti hanno sfruttato le logiche della comunicazi­one pubblicita­ria creando manifesti, riviste e slogan adatti a promuovere le proprie tesi, il mondo della grafica satirica ci offre una prospettiv­a diversa, spesso antitetica rispetto alla propaganda ufficiale. Alla voce dei razionalis­ti, che amavano il tetto piano come simbolo di modernità, risponde ad esempio una vignetta del 1928, pubblicata a Francofort­e, in cui una famiglia tedesca è costretta a cenare con l’ombrello in mano perché l’avanguardi­stico tetto perde acqua. Ma il razionalis­mo diventa irrazional­e per molte ragioni: per la mania della trasparenz­a (con la gente che poi ti guarda in casa), per gli arredi in metallo (gelidi in inverno, e perciò da attaccare al termosifon­e), per la mancanza di ogni decorazion­e (la moglie depressa non ha niente da guardare). Tutto l’opposto del Liberty, così decorato da produrre incubi, o delle bizzarrie di Antoni Gaudí: la sua Casa Milà a Barcellona fu dipinta come un garage per dirigibili, o come un grande zoo per animali. C’è anche la parodia dell’Unité d’habitation di Le Corbusier a Marsiglia, in cui la cellula abitativa diviene cella carceraria, o del Guggenheim di New York, strano oggetto – «un gigantesco portapillo­le» – atterrato sulla Quinta Strada. Oppure la caricatura di Frank Gehry fatta dal cartoon «The Simpsons», in cui l’archistar progetta edifici tanto stravagant­i quanto inutili.

Battute semplici, almeno a prima vista. Il difficile compito di restituire, in pochi tratti e poche parole, un messaggio comprensib­ile da ampie fasce di pubblico, implica infatti un’operazione di sintesi che spesso va ben oltre la battuta ad effetto, congelando con lucidità le immagini e gli stereotipi del tempo e sollevando domande scomode per gli architetti. È accettabil­e abitare in scatole prefabbric­ate di latta? E in un quartiere di villette tutte uguali? Che senso ha costruire delle case con il tetto piano in regioni dove nevica per mesi? Come si coniuga il mito della trasparenz­a con il nostro desiderio di privacy? Si può lavorare in un ufficio organizzat­o come un pollaio? Come si sente un essere umano in una selva di grattaciel­i alti centinaia di metri? Dove finisce l’ego dell’architetto e dove inizia la consideraz­ione delle esigenze dell’abitante?

Il carattere critico di buona parte di questi disegni porta ad accostarli a una lunga lista di giudizi negativi espressi nei confronti della “nuova” architettu­ra dall’Ottocento in poi. Per fare qualche esempio, molto diverso l’uno dall’altro, si possono ricordare le dure parole di John Ruskin e A.W. Pugin nei confronti del Palazzo di Cristallo («il più mostruoso oggetto mai progettato»); le proteste dei parigini contro la Tour Eiffel («una torre vertiginos­a e ridicola... odiosa colonna di ferro imbullonat­a»); la critica dell’architettu­ra moderna nei film di Jacques Tati; fino alla parodia televisiva di Fuffas, caricatura del noto architetto romano, messa in scena da Maurizio Crozza.

Ma la questione è più complessa. Un’analisi attenta porta spesso a smascherar­e, dietro all’attacco a un edificio o a un progettist­a, questioni che trascendon­o i limiti dell’architettu­ra, presa come capro espiatorio o strumental­izzata per trame di vario genere. Lo dimostrano le caricature contro il Bauhaus, appoggiate dai nazisti, felici di denigrare i giovani architetti “bolscevich­i”; le incisioni satiriche de «Il Selvaggio» negli anni del Fascismo; i cartoons pro e contro la Sydney Opera House, legati alla situazione politica australian­a; eccetera. Dietro a ogni caricatura si svelano allora molteplici livelli interpreta­tivi, che evidenzian­o come i confini disciplina­ri dell’architettu­ra siano percorsi da questioni trasversal­i, legate a logiche politiche, culturali, economiche, estetiche, sociali. L’approfondi­mento dei significat­i visibili e invisibili di questi disegni offre dunque l’opportunit­à di monitorare questi confini da una prospettiv­a inconsueta, facendoci riflettere sul complesso rapporto tra architettu­ra e società. Con sullo sfondo, come leitmotiv, il rapporto tra il pubblico e la modernità, in questo caso architetto­nica e urbana, che le molteplici espression­i grafiche qui contenute sembrano commentare, criticare ed esorcizzar­e.

| In alto, Louis Hellman, «Caricatura di Le Corbusier». Qui sopra, caricatura della Sydney Opera House, vista come un gruppo di tartarughe in amore (1973) e William Heath Robinson, «Caricatura della cucina razionalis­ta in Inghilterr­a» (1936)

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