Borse in affanno, ora si teme per la durata del crollo
In Europa la crescita economica è mediocre ma stabile - L’inflazione però è anemica e si parla di ampliamenti della politica espansiva della Bce Scossoni ai listini sono arrivati dalla caduta del petrolio e dagli scandali nel settore dell’auto
Le Borse sono cadute in una botola appena varcata la soglia del 2016. Le Piazze europee e la giapponese - vincenti negli scenari - hanno iniziato l’anno in direzione opposta alle previsioni; come dodici mesi fa, ma con ribassi molto più marcati. Nel gennaio scorso non era esploso il panico per il rallentamento cinese, nel Vecchio Continente si bramavano gli stimoli monetari della Banca Centrale Europea e i radar finanziari non tracciavano un avvitamento così profondo della quotazione del petrolio. A New York, l’S&P500 stava sopra i 2mila punti, mentre ora è sotto quella soglia e attende con apprensione buone nuove dagli utili societari.
In Europa, paradossalmente, la situazione economica è migliore e la crescita è più stabile, sebbene misurata. Però l’inflazione resta anemica, e le banche di investimento hanno già stilato ipotesi sull’ampliamento della manovra espansiva della Bce nella riunione della prossima settimana, invogliate dai verbali che evidenziano il favore di alcuni membri del consiglio già nel precedente incontro. Il Presidente Mario Draghi, che l’ultima volta aveva deluso le aspettative, dovrebbe compiere un miracolo di dialettica per temporeggiare e giustificare come transitori i fattori che bloccano il risveglio dei prezzi, senza lasciare i mercati a bocca asciutta.
Periodici scossoni ai listini, tuttavia, arrivano anche dagli scandali del settore auto, e l’automatizzazione degli scambi finisce per falcidiarli in modo indiscriminato. Invece le difficoltà delle banche, quelle conclamate degli istituti locali italiani o quelle eventuali da un deterioramento del credito di alcuni comparti - l’energetico per esempio -, finora non hanno sparso pessimismo a pioggia.
Il Giappone soffre l’avversione al rischio che fa rialzare lo yen (per via della chiusura dei prestiti effettuati per investire) a danno delle esportazioni; patisce la crisi dell’area asiatica e nelle sedute recenti anche il freno del governatore della banca centrale nipponica alle speranze di aumento delle iniezioni di moneta nel sistema.
La Cina, che ad agosto aveva fatto tremare gli investitori, ha una bilancia commerciale in salute, a dispetto del calo della manifattura, e lo yuan non ha subito forti svalutazioni (pur con i dubbi relativi alla mano lunga di Pechino su statistiche e parterre, sollevati dalla diminuzione delle riserve valutarie). Eppure le azioni di Shanghai si sono mangiate tutto il recupero e in due ottave hanno perso il 18%.
Gli Stati Uniti sono una grande incognita dei mesi a venire. La crescita decelera e il “Beige Book” della Federal Reserve, che registra la congiuntura, la definisce modesta, a fronte di un'inflazione minacciata dal barile debole; viceversa, l’occupazione è piena e annebbia il quadro, soprattutto riguardo le mosse di politica monetaria.
La confusione si riflette nel divario tra le stime della Fed sull'andamento dei tassi e quelle dei mercati: la curva dei banchieri, con quattro rialzi in agenda, è molto più ripida di quella degli operatori, calmierata dagli inciampi dell’economia globale e dalle rassicurazioni della Presidente Fed Janet Yellen sulla dipendenza della stretta dalle rilevazioni macro. Il Vice Presidente Stanley Fischer, per contro, ribadisce che il percorso è deciso e la cacofonia aumenta l’incertezza. Nell’indecisione, si vendono azioni a New York (con qualche ricopertura come giovedì) e si acquistano titoli di Stato. I Treasury, infatti, hanno ripreso quota, i rendimenti sono scesi ai livelli dell'autunno e allontanano l’idea della salita dei tassi: i TBond biennali, che riflettono da vicino le congetture dei mercati, erano a 1,1% a fine dicembre e adesso sono a meno di 0,9%.
Altri soliti noti hanno beneficiato della fuga ai ripari: oltre allo yen, il Bund, leggermente apprezzato a spese dei governativi più deboli.
WALL STREET A New York l’S&P’s 500 torna sotto quota 2mila punti e ora si attende l’esito della stagione delle trimestrali per capire la direzione dei listini