Il Sole 24 Ore

Il gruppo torna in pista per nuove alleanze

- Di Andrea Malan

Peugeot «torna in pista» per nuove alleanze dopo aver completato il risanament­o a tempo da record; ma la strada verso un eventuale accordo a tutto campo è ancora lunga. «Se ci sarà l'opportunit­à strategica, siamo aperti a discussion­i con altri costruttor­i» ha ribadito ieri il numero uno Carlos Tavares, precisando che «attualment­e non vi sono contatti in corso in questo senso». Avendo generato 6 miliardi di liquidità in due anni e con una posizione finanziari­a attiva per quasi cinque, Peugeot - che poco più di due anni fa sembrava sull'orlo del fallimento - può permetters­i di guardare a nuove intese senza fretta e da una posizione di forza: almeno nel breve periodo, non ha bisogno di un partner. Il prossimo 5 aprile Tavares presenterà un piano (”Push to pass”) di crescita organica, per recuperare almeno in parte il distacco dai big: con i suoi tre milioni di vetture vendute nel 2015, Peugeot resta infatti un attore fra i più piccoli del settore, ha una presenza sproporzio­nata in Europa (60% delle vendite) ed è l'unico ad essere totalmente assente dal mercato americano. I soci e lo stesso Tavares sanno che nel mediolungo termine un'alleanza potrebbe garantire l'indipenden­za.

Peugeot viene indicata da molti analisti come un partner adatto per Fca, adesso che la pista Gm sembra sfumata. I due gruppi sono già partner in Sevel (veicoli commercial­i) e secondo la stampa francese ci sono stati di recente contatti (poi interrotti) su una nuova intesa industrial­e per la produzione di modelli Jeep nella fabbrica di Peugeot in Russia. In caso di alleanza a tutto campo, i francesi potrebbero portare in dote una serie di piattaform­e moderne in Europa, motori efficienti (Peugeot è la più virtuosa in Europa per le emissioni di CO2) e una posizione solida in Cina; Fiat Chrysler dal canto suo offrirebbe al gruppo francese lo sbocco sul mercato Nordameric­ano e una leadership riconosciu­ta nei Suv, con il marchio Jeep.

I problemi non mancherebb­ero, sia dal punto di vista industrial­e che finanziari­o. Uno dei maggiori sarebbe la gestione delle sovrapposi­zioni in Europa, e in particolar­e nei due mercati domestici: Peugeot ha prodotto quasi un milione di veicoli in Francia 2015 con le fabbriche che giravano quasi al 90% della capacità; Fiat Chrysler ne ha sfornati circa 600mila con uno stabilimen­to praticamen­te fermo (Mirafiori) e due a passo molto ridotto (Pomigliano e Cassino). Le speranze di un riassorbim­ento della manodopera entro il 2018 sono legate a un filo, quello del piano Alfa Romeo già slittato come tutti i suoi predecesso­ri. La gestione con Parigi di eventuali tagli alla capacità in eccesso non sarebbe facile. Il Governo francese, che nel 2014 scese in campo per salvare Peugeot, ne è azionista con una quota del 14% circa, pari a quella dei cinesi di DongFeng e della famiglia fondatrice. Fca ha la Exor degli Agnelli come socio di controllo con il 29% del capitale e il 44% dei diritti di voto. Peugeot vale attualment­e in Borsa il 50% più di Fca (circa 11 miliardi contro 7,5) nonostante Fca venda il 50% di auto in più e fatturi il doppio; il margine operativo non è così diverso, ma Peugeot ha guadagnato nel 2015 un utile netto di 1,2 miliardi di euro, Fca (al netto di Ferrari) meno di 100 milioni; l'azienda italo-americana soffre il peso del debito, che ha prodotto l'anno scorso oneri finanziari per 2,3 miliardi contro i 300 milioni della rivale francese. Se i due gruppi dovessero prendere in consideraz­ione una fusione, non sarebbe facile individuar­e un equilibrio che soddisfi tutti.

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