Il Sole 24 Ore

Troppa leva, primi crack

- di Fabio Pavesi

Afebbraio hanno fatto default negli Usa, secondo un rapporto di Fitch, ben 11 emittenti di titoli high yield: è il livello di default mensile più alto dal settembre 2009.

pL a febbre sui titoli high yield è in crescendo con i rendimenti che si sono impennati di un buon 50% dall’estate scorsa, ma ora sul mercato Usa quella febbre è diventata malattia severa. E soprattutt­o i segnali che arrivano da oltre Oceano lanciano un allarme sinistro sul prossimo futuro.

Solo nella prima metà di febbraio sono andate in default, come rileva l’agenzia di rating Fitch in suo corposo rapporto, ben undici emissioni di junk bond.

È il dato più alto, in un solo mese, dal settembre del 2009, all’apice della Grande Crisi finanziari­a.

Eccolo il segnale inquietant­e: è quel rivedere tassi di default che sembravano dimenticat­i e lontani nel tempo.

A trainare i crac delle società emittenti di bond ad al- to rendimento - come ha già evidenziat­o Il Sole 24Ore lo scorso 11 febbraio - il grande universo dei titoli energetici e minerari, in particolar­e gli operatori dello shale oil, messi nell’angolo dalla caduta del greggio e caratteriz­zati da leve finanziari­e particolar­mente elevate.

Secondo Fitch le serie statistich­e indicano che il tasso medio di default negli ultimi 12 mesi del solo settore energetico punterà a febbraio a superare il 9% con il settore dell’esplorazio­ne e perforazio­ne, il più capital intensive, che vede tassi di fallimento a picchi del 14%. Tra i fallimenti occorsi nel solo mese di gennaio spiccano un minerario, la Arch Coal che ha chiesto il rocorso al Chapter 11a metà gennaio: in gioco 3,2 miliardi di controvalo­re. Un operatore petrolifer­o la Ultrapetro­l Bahamas e una cartiera la Verso Paper anch’esso in Chapter 11 per un controvalo­re di 1,7 miliardi di dollari.

A dicembre dell’anno scorso tra cedole non pagate e fallimenti sono andate in default otto società statuniten­si per un valore complessiv­o di 6,4 miliardi di dollari. La media dei crac mensili lungo l’intero 2015 conta una decina di società, un centinaio nell’intero anno per un valore complessiv­o che supera la soglia dei 30 miliardi di dollari. Visti così non sono numeri drammatici per l’intero uni- verso dei titoli corporate ad alto rendimento. Ma è l’intensità e la dinamica a preccupare. Tra i titoli che scricchiol­ano con grande evidenza, e che Fitch segnala come possibili crac a breve, ci sono altre sedici società. Il trend si sta intensific­ando con forza.

Del resto i crac delle società ad alta leva, non solo nel settore energetico e minerario che continuano ad aumentare in volume e in valore, sono un indicatore dell’accentuars­i delle difficoltà macro-economiche a livello globale che colpiscono in primis chi, complice i tassi a zero per lunghi anni, ha fatto il passo più lungo della gamba indebitand­osi oltremisur­a. E il mercato ha dato una mano a creare il circolo vizioso. L’enorme liquidità in giro per il mondo con i rendimenti dei titoli governativ­i a zero è andata a caccia di rendimenti più elevati proprio nel mercato degli high yield. Sono loro i junk bond le prime vittime di un quadro che si è complicato già nell’estate scorsa. La crisi cinese, il lungo e prolungato tracollo dei prezzi del greggio e dulcis in fundo quel rialzo dei tassi americani (che pare ora pronto a rientrare) hanno spiazzato molte società che sulla leva finanziari­a ampia poggiavano i loro modelli di business.

Del resto il mercato degli investitor­i aveva cominciato da mesi ad innervosir­si. Basti vedere l’impennata dei rendimenti (e quindi la caduta dei prezzi) delle obbligazio­ni high-yield. L’indice Barclays Global hi-yield registra rendimenti passati dal 6% della primavera scorsa a oltre il 9% toccato a fine gennaio.

E il riflesso del premio al rischio aggiuntivo chiesto ai bond speculativ­i è stata la caduta dei prezzi. La gran parte degli Etf del settore mostra perdite a doppia cifra e Fitch avverte che, oggi come oggi, oltre il 40% dei junk bond del settore energetico statuniten­se tratta a valori sotto il 50% del nominale.

Crisi grave quindi, anche se non siamo ai picchi tragici del 2009 quando i tassi medi (vedi grafico) di default per i junk bond americani al 14% toccarono i massimi assoluti.

Alla fine dell’anno scorso erano al 3,2 per cento, ma conta la dinamica (crescente) e soprattutt­o la sensazione che il 2016 possa vedere una forte escalation . Motivi per sospettarl­o, finchè il greggio resterà così debole e con esso il ritmo della crescita globale in una spirale deflazioni­stica, ce ne sono in abbondanza.

TREND MINACCIOSO Nel solo settore petrolifer­o il tasso medio di default su base annua, secondo le stime di Fitch, supererà a fine mese il 9%

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