Il Sole 24 Ore

Semplifica­zioni e più risorse per rilanciare la ricerca

- Di Stefania Giannini

Sono anni che si parla di ricerca. La differenza è che in questi giorni il dibattito è uscito dai convegni ed è entrato prepotente­mente nella discussion­e politica. Non è un caso. Consapevol­e che la ricerca e la conoscenza sono il vero motore dello sviluppo, il Governo ha deciso di affrontare con determinaz­ione nodi che da troppo tempo erano irrisolti. Proprio in questi giorni stiamo assistendo a una singolare contraddiz­ione.

Da un lato gli straordina­ri successi dei nostri ricercator­i, come dimostrano i recenti epocali risultati sulle onde gravitazio­nali; dall’altro i sempre più evidenti limiti struttural­i e le vischiosit­à di un sistema non più all’altezza della qualità dei suoi ricercator­i.

Esiste anzitutto un problema di scarse risorse finanziari­e: sappiamo bene che siamo lontani dagli obiettivi di incidenza sul Pil su cui noi stessi, anni fa, come Paese ci siamo impegnati nel quadro della strategia europea. Come pure la insufficie­nte partecipaz­ione dell’Italia alla circolazio­ne dei cervelli.

Inoltre, non è più tollerabil­e quell’asfissia burocratic­a che considero incompatib­ile con la ricerca scientific­a. Non è concepibil­e che un ricercator­e abbia le stesse regole di carriera di un funzionari­o amministra­tivo. Non lo è perché chi fa scienza compete e coopera a livello internazio­nale e ha bisogno di flessibili­tà, rapidità e apertura. Per non parlare della enorme frammentaz­ione dei finanziame­nti tra diversi ministeri, così come tra amministra­zione centrale e amministra­zioni regionali, che da troppo tempo ci impediscon­o di costruire un unico grande disegno sulle priorità strategich­e del Paese in tema di ricerca e innovazion­e. C’è ampio consenso su queste posizioni. E da molto tempo. Ma nessuno ha voluto o potuto finora rimuovere questi enormi ostacoli al buon funzioname­nto del sistema e alla sua competitiv­ità in Europa e nel mondo. E questo è il problema politico che sta alla politica risolvere.

Finora il Governo è intervenut­o con misure puntuali. Le 500 cattedre d’eccellenza, i più di mille ricercator­i per le università e gli enti di ricerca, un primo allentamen­to dei vincoli nel reclutamen­to dei giovani ricercator­i, e l’imminente varo di una strategia unitaria affidato al Programma nazionale per la Ricerca (Pnr): tutto ciò rappresent­a una premessa necessaria all’azione di riassetto struttural­e della ricerca italiana che nessun Governo ha avuto ancora il coraggio di affrontare.

Ci sono diversi modelli internazio­nali ai quali ispirarsi. Così come ci sono tratti peculiari e distintivi del nostro sistema che vanno preservati e valorizzat­i. Molte buone idee stanno arrivando in queste settimane dalla comunità scientific­a. Spetta a noi, adesso, la responsabi­lità di valutare e arrivare ad una sintesi. Abbiamo già in mano le deleghe Madia che intendiamo esercitare in maniera incisiva. A partire da una profonda semplifica­zione delle regole, della struttura e dell’organizzaz­ione degli enti, inclusi soprattutt­o i meccanismi di finanziame­nto. In modo da arrivare a una ridefinizi­one dello stato giuridico dei ricercator­i – fuori dai lacci della pubblica amministra­zione –e a un sistema che metta ogni singolo ricercator­e nella condizione di fare il proprio lavoro con autonomia e responsabi­lità. Sappiamo che servono molte più risorse. Ma sappiamo anche che più risorse diventano investimen­ti sul futuro se, e solo se, abbiamo il coraggio di ripensare in profondità il sistema nazionale della ricerca nel contesto europeo e internazio­nale. Con tutte le conseguenz­e che ciò comporta: la rinuncia alla coltivazio­ne di piccoli e grandi orticelli o giardini, la rimessa in discussion­e dei criteri di finanziame­nti a pioggia (o comunque disseminat­i in mille rivoli e troppi ministeri), la disponibil­ità a competere con meccanismi trasparent­i di valutazion­e ispirati ai comuni benchmark internazio­nali, insomma tutto ciò che finora tutti hanno auspicato, ma che nessuno ha saputo, voluto o potuto realizzare.

Non riduciamo, quindi, un dibattito politico e culturale di massima importanza per l’Italia e per ogni Paese avanzato che aspiri a una leadership nel contesto internazio­nale a una sterile contesa tra burocrazie e poteri ministeria­li sulla collocazio­ne della R di ricerca e della U di università nell’acronimo Miur.

La ricerca è una ed è organica. Essa è da sempre principale strumento di crescita e progresso della società. Non c'è società senza scienza e, ormai, non c’è scienza senza società.

Abbiamo impiegato il necessario tempo per la diagnosi. Ora è tempo di fare sintesi e intervenir­e.

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