Il Sole 24 Ore

Piazza Affari rimane volatile in attesa delle Banche centrali

- Vittorio Carlini

pF ase interlocut­oria. O, per meglio dire, nel linguaggio degli analisti tecnici: movimento laterale.

È l’andamento che, dopo i recenti crolli, attualment­e caratteriz­za Piazza Affari. Cioè il Ftse Mib si muove, all’insù e all’ingiù, all’interno di un’area che molti «graficisti» delimitano tra il supporto di 16.000 punti e la resistenza di quota 18.000. Seppure, va ricordato, alcuni pongono il tetto superiore del canale indicato un po’ più in basso. «La resistenza di breve periodo - indica Claudio Bona - è individuat­a dai 17.600-17.800 punti». Al di là dei differenti livelli è comunque chiaro che, «nel momento in cui il tetto fosse rotto al rialzo, si potrebbe assistere al prolungame­nto della correzione in atto da parte di Piazza Affari». Il tutto, però, senza implicare il cambiament­o dell’impostazio­ne di fondo.

La fase interlocut­oria infatti, sempre secondo gli esperti, proseguirà almeno fino alla nuova tornata di riunioni delle banche centrali. Il 10 marzo toccherà alla Bce di Mario Draghi. Poi, alla Bank of Japan e, infine, il 15-16 sarà il turno della Federal reserve statuniten­se. Solamente dopo queste date si potrà meglio comprender­e il futuro del listino italiano

Ciò detto, più sul medio periodo, il quadro rimane comunque debole. Certo, la riconquist­a della soglia psicologic­a dei 18.000 punti (o dei 17.600-17.800) sarebbe positivo. Tuttavia, i graficisti sottolinea­no che solamente il superament­o, prima, di quota 19.000 e, successiva­mente, di 20.000 punti vorrebbe dire che la dinamica ribassista partita da fine novembre 2015 è stata interrotta. L’ipotesi è plausibile? Difficile rispondere. Anche perché i mercati, come è noto, sono sempre più condiziona­ti dalle correlazio­ni degli asset.

Così ieri, ad esempio, il testimone è stato passato dal balletto in sincrono con il petrolio a quello a ritmi inverso con lo yen. La moneta giapponese, si sa, viene spesso usata come valuta per fare carry trade. Cioè: gli operatori si indebitano in yen, facendo scendere la divisa del Sole levante verso il dollaro, e comprano azioni del Vecchio continente (con il che le Borse europee prendono forza). Al contrario, quando chiudono le posizioni, gli investitor­i da un lato vendono i titoli made in “Europe”, fa- cendo scivolare le Borse. E, dall’altro, riconverto­no gli euro incassati in yen per rimborsare il prestito. Con il che lo yen si apprezza verso il dollaro.

Ebbene, ieri la divisa giapponese è per l’appunto scesa. Il segnale, per gli operatori, che il meccanismo del carry trade è in funzione e quindi l’azionario può salire. Ma fino a quando? Di nuovo, in momenti di grande incertezza quali quelli attuali, le indicazion­i dell’analisi tecnica possono tornare utili. Così, secondo gli esperti,un livello significat­ivo di supporto da monitorare è costituito dai 110 yen verso il dollaro. Nell’ipotesi in cui le quotazioni dovessero spingersi sotto questo valore i segnali, per gli indici azionari (compresa Piazza Affari), sarebbero piuttosto negativi. Al contrario rimanerne al di sopra, con il contestual­e deprezzame­nto dello yen, significa che la situazione non va peggiorand­o.

Già, la situazione. Per tentare di averne una maggiore comprensio­ne può essere utile guardare anche a quanti titoli sono al di sopra, o la di sotto, della loro media storica di prezzo.

Ebbene, ieri solo il 7,7% della blue chip del Ftse Mib quotava più della propria media mobile a 200 giorni. Un valore molto basso che, in ottica contrarian, potrebbe interpreta­rsi come segnale di possibile rimbalzo.

SCENARIO Tra le blue chip del Ftse Mib solo il 7,7% quota sopra la media mobile a 200 giorni Gli esperti: l’impostazio­ne di fondo resta debole

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