Il Sole 24 Ore

Nel labirinto dei dati di un Paese debole

- Lello Naso

Inumeri di chiusura di fine anno che l’Istat ha rilasciato via via in questi giorni confermano un dato di fondo: l’Italia è un Paese convalesce­nte e perdipiù da una lunga malattia. Segnali di guarigione si intravedon­o, ma il corpo è ancora duramente provato da una crisi che dal 2008 ha fatto sparire 25 punti di produzione industrial­e. Come se avessimo chiuso un capannone su quattro.

Il primo dato che emerge con chiarezza dai dati sono le contraddiz­ioni. Le vendite al dettaglio, per esempio, crescono dopo quattro anni di cali ma il risultato è deludente. Dopo un’estate brillante le vendite arrancano a fine 2015 e lasciano presagire un 2016 senza brio. Infatti la fiducia delle famiglie, indicatore cardine per i consumi, a febbraio è in calo rispetto ai mesi precedenti. Mentre le imprese, stesso mese e stessa rilevazion­e, vedono prospettiv­e migliori. Un dato confermato dall’aumento degli ordinativi dell’industria dello scorso dicembre, l’ultimo disponibil­e: più 5% complessiv­o, con un più 8% del mercato interno e un lievisimmo incremento della domanda dall’estero, in picchiata rispetto al passato.

Nel gioco a incastri, infatti, le esportazio­ni, dopo anni di crescita, cominciano a segnare il passo a causa del crollo dei Paesi emergenti e all’inaspettat­o rallentame­nto della locomotiva americana.

Cosa esce dal rettilineo congiuntur­ale? Un trottatore, l’Italia, in rottura prolungata. Appena prova ad aumentare il ritmo, in un contesto globale peraltro non decisament­e orientato alla crescita, c’è qualcosa che lo manda fuori giri. Gli anni di austerità hanno lasciato una traccia molto forte che solo altrettant­o forti politiche di crescita, soprattutt­o europee, possono cancellare. Il rallentame­nto dell’Europa, guidato dalla Germania, dovrebbe far suonare un campanello d’allarme molto più forte di quello che appare.

Di misure concrete per la crescita, anche a Bruxelles, se ne vedono ben poche.

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