Mercati emergenti in caduta verticale
A gennaio calo annuo del 7,9%, peggior dato extra-Ue da fine 2009 A fondo Russia, Cina e Brasile Stop Usa, ok solo il Medio Oriente
Medio Oriente.
Iniziamo da qui per praticità, aprendo e chiudendo subito il breve capitolo dei mercati in crescita, con l’area del Golfo a rappresentare il solitario segno più del made in Italy a gennaio, mese che sui mercati extra-Ue si chiude con una pesante débacle. Il calo tendenziale del 7,9%, peggior dato da novembre 2009, è in parte spiegato dalla presenza di una giornata lavorativa in meno ma il calendario in realtà addolcisce solo di un poco la pillola. Che in valore assoluto, per le nostre aziende, significa ridurre gli incassi di un miliardo di euro. A sorpresa, la sottrazione più cospicua è in arrivo da Washington, con gli Usa a ridurre gli acquisti dell’8,1%, poco meno di 200 milioni di euro. Dati su cui - segnala l’Istat - pesa anche la dinamica sfavorevole delle vendite di metalli preziosi (con la quotazione dell’oro ridotta in un anno di oltre il 10%) ma su cui incide forse anche il venir meno dell’effetto cambio. Per tutto il 2015, infatti, il confronto tendenziale dei dodici mesi precedenti avveniva con un dollaro più debole rispetto ai corsi più recenti, contribuendo così a far lievitare “in automatico” gli incassi in euro. A gennaio 2015 l’euro scendeva però a quota 1,16 (da 1,23 della media di dicembre 2014), valori non troppo distanti dalle valutazioni del mese scorso. Così, la stessa scarpa da 100 dollari venduta a dicembre 2015 a New York ha portato al venditore 11 euro in più rispetto all’anno precedente, a gennaio 2016 solo sei euro aggiuntivi, per le vendite di febbraio siamo quasi in pareggio. Coperture sui cambi e listini in euro rendono il tutto molto meno lineare, ma è evidente che da qui in avanti i valori di Washington non avranno più la spinta valutaria sperimentata lo scorso anno, con acquisti Usa di made in Italy in dollari in crescita del 4,5% (44 miliardi di dollari) mentre le stesse merci “tradotte” in euro hanno prodotto dal lato italiano una crescita del 20,9%. Per le nostre merci i problemi maggiori tuttavia stanno altrove, in particolare nell’area dei paesi emergenti. Preoccupante è in particolare l’ennesimo calo in Russia, una frenata del 24,2% (102 milioni di euro) che già si innesta su un crollo a doppia cifra dell’anno precedente: tra gennaio 2014 e gennaio 2016 i valori si sono esattamente dimezzati da 664 a 320 milioni di euro. Altra voragine è il Brasile, con la recessione in atto visibile nella riduzione degli acquisti dell’area Mercosur, giù del 18,8%. Male anche Giappone, NordAfrica, Turchia e Svizzera, anche se forse i timori si concentrano in Asia. La caduta dell’export dell’11,6% verso la Cina costa alle aziende italiane 80 milioni in termini di mancati introiti ma sono soprattutto le prospettive ad essere preoccupanti, per un Paese alle prese con un rallentamento dagli effetti ancora indefinibili. Meno peggio a gennaio il dato dell’import, dove il crollo dell’energia (-28,5%) è determinante nel produrre una media negativa. L’area manifatturiera resta infatti in crescita di oltre un punto, grazie inp articolare a beni durevoli e strumentali. Ildeficit commerciale extra-Ue del mese, in rosso per 495 milioni, è così in peggioramento rispetto al dato 2015 (344).