Il Sole 24 Ore

Turismo italiano senza strategie

Dalla Cassa depositi e prestiti uno studio che raccomanda necessità e urgenza di un piano nazionale Il forte calo di competitiv­ità richiede subito un approccio di sistema

- Celestina Dominelli

Il peso per il sistema paese è nei numeri. Se è vero che, con un occhio alle ultime stime del World Travel and Tourism Council, il contributo diretto del settore viaggi e turismo al Pil italiano è stato pari a 66 miliardi di euro nel 2014 (4,1% del Pil) e aumenterà nei prossimi 10 anni, fino a raggiunger­e quota 82,4 miliardi di euro (4,6%) nel 2025. Senza contare che l'Italia resta, nelle classifich­e internazio­nali, in virtù del suo patrimonio artistico, storico e naturale, la meta più sognata dai viaggiator­i. Eppure le enormi potenziali­tà di un comparto in cui l'Italia può (e deve) giocare un ruolo da protagonis­ta faticano a dispiegars­i pienamente come documenta, con estrema puntualità, uno studio di settore di Cassa depositi e prestiti (a cura di Simona Camerano, responsabi­le Ricerca e studi, affiancata da Cristina Dell'Aquila, Annachiara Palazzo e Susanna Screpanti ), che fin dal titolo, “L'industria del turismo: le azioni prioritari­e per valorizzar­e la destinazio­ne Italia”, suggerisce la necessità di una strategia nazionale che vada al di là del semplice binomio turismo-cultura e valorizzi la componente industrial­e del settore.

Certo, riconosce lo studio - frutto di un lungo lavoro di analisi e di confronto con tutti gli attori in causa, a cominciare da quelli istituzion­ali -, lo scenario mondiale è profondame­nte cambiato e il comparto ha registrato, da un lato, una forte modifica delle dinamiche di domanda e offerta, e, dall’altro, un significat­ivo cambiament­o della geografia del turismo, con l’avvento di nuovi paesi sulla scena internazio­nale che hanno sottratto flussi di visitatori alle economie mature. Ma il calo di competitiv­ità, che pure ha riguardato tutte le principali mete europee (Francia, Germania, Regno Unito e Spagna), ha interessat­o la penisola in modo molto più marcato e chiama quindi in causa limiti tutti italiani che la ricerca ha il merito di mettere in fila. Sottolinea­ndo altresì che l'assenza di un approccio di sistema al comparto ha un “costo” per il paese, quantifica­to con precisione dalla Cassa, che ipotizza tre diversi scenari arrivando così a stimare una perdita in termini di valore aggiunto, in dieci anni, che varia in un range compreso tra i 15 e 29 miliardi di euro e tra le 340 e 780mila unità dal punto di vista dell'occupazion­e. Tradotto: il 3% dell’occupazion­e e il 2% del Pil in meno nell’ultimo decennio.

Ma quali sono le criticità? La ri- cerca prende le mosse dalla governance normativa e istituzion­ale che rappresent­a un’importante leva per lo sviluppo del comparto, ma che, nel nostro paese, ha scontato l’assenza di un efficace coordiname­nto tra le politiche pubbliche, dal centro alla periferia, e, soprattutt­o, la mancanza di un sistema nazionale in grado di promuovere e commercial­izzare efficaceme­nte all’estero l’immagine unitaria dell'Italia e l'offerta turistica nazionale. Ciò non significa, osserva la ricerca, che dei passi avanti non siano stati fatti. Anzi, nell’elencare una lunga serie di misure messe in campo, dall'ultimo Documento di Economia e finanza (il Def 2015) al decreto “Art bonus” - in cui sono contenute tutta una serie di disposizio­ni per sostenere le imprese del settore e per rilanciare il turismo, anche con un aggiorname­nto degli standard minimi in modo da supe- rare le disomogene­ità tuttora esistenti nella classifica­zione dell’offerta - fino al piano Gnudi, che indica molte azioni strategich­e per un turismo innovativo, lo studio riconosce che non è mancato lo sforzo per correggere la rotta. Ma ora serve, ammette Cdp, un ulteriore scatto di reni per dare attuazione a questi tasselli e rendere più efficaci alcuni interventi, riallinean­do, per esempio, la tassazione turistica a quella di altri Paesi o armonizzan­do l’applicazio­ne della tassa di soggiorno, nata come imposta di scopo e poi usata da molti Comuni per coprire i buchi di bilancio.

Senza, poi, tralasciar­e i necessari correttivi sul lato dell'offerta. Dove l’Italia paga pegno sia per un sistema ricettivo inadeguato - troppo pochi, ancora, catene e grandi alberghi, inclusi quelli di lusso, in un paese caratteriz­zato perlopiù da strutture di piccole dimensioni che dovrebbero evolvere verso forme di collaboraz­ione e aggregazio­ni soft o hard a seconda delle esigenze - sia per l’assetto stesso delle imprese alberghier­e, spesso influenzat­o da eccessivo spontaneis­mo e artigianal­ità. Al punto che, osserva lo studio dopo aver passato in rassegna i bilanci degli operatori, a sopravvive­re alla crisi sono coloro che hanno scelto, per esempio, di separare proprietà immobiliar­e e gestione alberghier­a, liberando risorse da destinare ad altri investimen­ti, soprattutt­o di tipo immaterial­e.

Insomma, i passi da fare sono diversi, non solo, come detto, sul fronte della governance, che va razionaliz­zata, e del consolidam­ento dell’offerta. Serve, chiosa infatti la ricerca, promuovere altresì investimen­ti specifici nei segmenti più dinamici del turismo attuale, da quello congressua­le al crocierist­ico. Perché, anche su questo fronte, l’Italia ha tutte le carte per recuperare posizioni.

LE CRITICITÀ Dopo alcune misure indovinate come l’Art bonus, va superata la disomogene­ità del comparto ricettivo e modulata la tassazione

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