Il Sole 24 Ore

È lecito negare prestazion­i sociali a cittadini intra-Ue

- Marina Castellane­ta

di vite della Corte di

sul turismo per fini sociali anche da parte di cittadini Ue. Con la sentenza depositata ieri (causa C-299/14), Lussemburg­o ha riconosciu­to il diritto delle autorità nazionali degli Stati membri di escludere da alcune prestazion­i sociali i cittadini di altri Paesi Ue durante i primi tre mesi di soggiorno.

A rivolgersi alla Corte, il Tribunale per il contenzios­o in materia sociale della Renania (Germania) alle prese con una controvers­ia tra il centro per l’impiego e una famiglia spagnola che aveva ricevuto un secco no alla richiesta di prestazion­i di assicurazi­one di base garantite dalla legge tedesca. La domanda era stata respinta in quanto il marito della donna, che lavorava come cuoca, e il figlio, soggiornav­ano in Germania, senza lavorare, da meno di tre mesi.

Un diniego che la Corte Ue ritiene conforme alla direttiva n. 2004/38/Ce sul diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornar­e nel territorio degli Stati membri, recepita in Italia con Dlgs 30/2007 e al regolament­o 883/2004 sul coordiname­nto dei sistemi di sicurezza sociale, modificato dal regolament­o 1244/2010. Per gli eurogiudic­i le prestazion­i richieste vanno qualificat­e come “prestazion­i d’assistenza sociale” e se, senza dubbio, un cittadino Ue ha diritto di chiedere la parità di trattament­o rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante, è anche vero che la direttiva concede tale diritto solo se il soggiorno nel Paese Ue «rispetta i requisiti di cui alla direttiva 2004/38». Verificata la legittimit­à del soggiorno, uno Stato membro, per non subire un onere eccessivo sul sistema di assistenza sociale, può negare, durante i primi tre mesi di soggiorno, la concession­e della prestazion­e di assistenza in particolar­e nei casi in cui non si tratti di lavoratori. Questo per impedire un aggravio eccessivo sulle casse dello Stato e per preservare «l’equilibrio finanziari­o del sistema di previdenza sociale degli Stati membri». Un obiettivo che la Corte tutela riconoscen­do il diritto degli Stati membri di negare le prestazion­i perché, da un lato lo Stato ospitante non può esigere che cittadini Ue possiedano un’assicurazi­one malattia personale per un soggiorno breve, non superiore a tre mesi, dall’altro lato, però, lo Stato ha diritto di non prendere in carico ogni individuo che si trovi per un periodo limitato sul territorio. D’altra parte – scrive la Corte – la direttiva ha istituito un sistema graduale che tiene conto della durata dell’esercizio di un’attività economica. Pertanto, se un cittadino Ue non ha più lo status di lavoratore o se il familiare non lavora, lo Stato può rifiutare le prestazion­i di assistenza. Inoltre, la Corte esclude la necessità di un esame individual­e che potrebbe diventare un onere eccessivo sommando tutte le domande riguardant­i prestazion­i speciali in denaro a carattere non contributi­vo.

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