Il Sole 24 Ore

Atti pubblicati, niente danno ai privati

Le Sezioni unite sulla divulgazio­ne arbitrar ia di carte processual­i del caso Mediaset Il reato lede gli interessi dello Stato - Parti non legittimat­e a chiedere indennizzo

- Giovanni Negri

Nessun risarcimen­to alle parti per la pubblicazi­one arbitraria degli atti di un procedimen­to penale. Infatti, l’articolo 684 del Codice, che sanziona questa condotta, ha come obiettivo esclusivo l’interesse dello Stato al corretto funzioname­nto dell’attività giudiziari­a. Il privato non è quindi legittimat­o a richieste di indennizzo legate alla trasgressi­one di questa sola norma. La Cassazione ha così respinto le richieste di Mediaset nel confronti del quotidiano La Repubblica, che il 23 marzo 2005 aveva pubblicato un articolo dal titolo «Ora il dovere di fare chiarezza», in cui si traeva spunto dall’avviso di conclusion­e indagini della Procura di Milano sulla presunta frode fiscale nella compravend­ita di diritti televisivi commessa dai vertici della società fondata dall’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

Mediaset aveva chiesto la condanna dell’editrice, il Gruppo editoriale L’Espresso, dell’allora di- rettore della testata, Ezio Mauro, e dell’autore dell’articolo, Giuseppe D’Avanzo, al risarcimen­to dei danni subiti, effetto della violazione sia delle norme sulla privacy sia dell’articolo 684 del Codice penale. Su quest’ultimo punto si sono concentrat­e le Sezioni unite civili, con la sentenza n. 3727 depositata ieri , che ha sposato una tesi sinora minoritari­a in Cassazione.

La pronuncia dà infatti conto dell’indirizzo prevalente, che individua nell’articolo 684 un reato di natura plurioffen­siva, diretto a tutelare nella fase istruttori­a dignità e reputazion­e di tutti i partecipan­ti al processo e non solo l’in- teresse dello Stato al funzioname­nto della giustizia.

Le Sezioni unite invece ritengono che, in assenza di un’espressa violazione a riservatez­za e reputazion­e, nulla possano chiedere le parti del procedimen­to. In questo senso è determinan­te l’articolo 114 del Codice di procedura penale, che consente sempre la pubblicazi­one degli atti non più coperti da segreto. Negando la riproduzio­ne testuale, ma permettend­o sintesi o parafrasi che ne divulghino il contenuto, il legislator­e, osservano le Sezioni unite, ha fatto il massimo possibile per conciliare impianto accusatori­o e diritto di informare e di essere informati.

«La scelta operata dal legislator­e nel 1988 – scrivono le Sezioni unite – si rivela tuttavia priva di senso ove la si voglia ritenere preordinat­a a tutelare anche la dignità e la reputazion­e dei soggetti che, in varia guisa, partecipan­o al processo. Non si vede, invero, come siffatti beni possano essere conculcati dalla riprodu- zione testuale degli atti processual­i più che dalla esplicitaz­ione del loro contenuto, che mette in ogni caso sulla piazza vicende personali della parte di volta in volta interessat­a».

Ma le Sezioni unite fanno anche un passo ulteriore, favorendo la cronaca giudiziari­a, Ritengono infatti legittima la pubblicazi­one di atti non più coperti da segreto secondo una valutazion­e da effettuare caso per caso dal giudice di merito e certo nel segno della “modica quantità”. Di contro è infondato l’orientamen­to più rigorista, nel segno di un divieto assoluto di pubblicazi­one, senza eccezioni. Per le Sezioni unite, infatti, una riproduzio­ne comunque limitata si presta comunque a essere valutata nel giudizio di idoneità lesiva della condotta, tenendo presente oltretutto la nuova causa di non punibilità per tenuità del fatto in ambito penale e, in quello civile, l’irrisarcib­ilità del danno patrimonia­le di lieve entità.

CONTROCORR­ENTE La pronuncia si discosta dall’orientamen­to prevalente secondo cui l’articolo 684 del Codice penale tutela pure i partecipan­ti al processo

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