Il Sole 24 Ore

«Il piano Telecom è per l’Italia»

«Con 12 miliardi di investimen­ti ricadute senza precenti sull’economia - Da Vivendi un ok convinto»

- di Antonella Olivieri

Èappena terminato il road-show per presentare il piano Telecom, che punta sugli investimen­ti negli unici due mercati rimasti di quello che era una volta un impero delle tlc: Italia e Brasile. Le carte aziendali dimostrano che è il momento di farlo. Perché, a sorpresa, nell’ultimo trimestre 2015 la domanda domestica di rete ha registrato una vera impennata trainata da video e social network, con il fisso, che consuma 18 volte i byte del mobile. Tuttavia i ritorni si misurerann­o solo nel lungo periodo, mentre nell’immediato il peso del debito torna a farsi sentire (già a fine 2015 il rapporto contabile net debt/ Ebitda è schizzato a 3,9). «Nel corso del road show – spiega l’ad Marco Patuano – ho riscontrat­o una condivisio­ne generale sulla necessità di un piano di investimen­ti per l'Italia, per garantire una sostenibil­ità di lungo periodo a Telecom».

«C erto che – ammette l’ad di Telecom Marco Patuano – il tema del minor deleverage, con il cash-flow concentrat­o sull'Italia, è stato notato. Però è da considerar­e che 1,5 miliardi di debito derivano da poste contabili in stretta applicazio­ne dei principi Ias. Altri in Europa hanno usato margini di discrezion­alità che noi non abbiamo utilizzato».

Resta il fatto che impostare un piano di lungo periodo con le finanze tirate è rischioso. Tant'è che Moody's ha già messo in conto l'eventualit­à di un downgradin­g.

Sul debito la situazione è sotto controllo, per una serie di motivi. Telecom ha in cassa liquidità sufficient­e a coprire le scadenze dei prossimi tre anni. La durata media del debito è superiore a 7 anni. Il free cash-flow dell'Italia continua a essere molto abbondante rispetto al servizio del debito. Nel 2016 scade il convertend­o che apporta 1,3 miliardi di capitale, la cessione di Telecom Argentina avrà un impatto positivo dell'ordine di 600 milioni di euro, ed è in corso il processo per la cessione di una quota di Inwit.

La cessione di Telecom Argentina è stata decisa nel 2013 quando Telefonica era in procinto di diventare il nuovo azionista di riferiment­o, col rischio concreto di una nazionaliz­zazione per la partecipat­a di Buenos Aires. Sempre convinti oggi di avere fatto bene, quando non solo non ci sono più vincoli di azionariat­o, ma inoltre è anche cambiato il contesto politico in Argentina?

Ho molta stima di Mauricio Macrì, che con conosco bene da anni e sono certo sarà una figura importante per l'Argentina. Tuttavia Telecom doveva fare delle scelte. Quando sono state fatte si era ragionato di concentrar­si sull'Italia e sul Brasile, che è un mercato con 200 milioni di abitanti e potenziali­tà di crescita. In finanza non c'è spazio per ripensamen­ti. Ricordo che noi abbiamo venduto in dollari, senza aggiustame­nti di cambio, e quindi è stata una buona operazione.

Se non ci fosse stato il problema del debito, magari la scelta sull’Argentina sarebbe stata diversa.

Nel 2013 c'era l’esigenza di finanziare un piano di ivestiment­i importante in un momento delicato in cui c'erano molti vincoli.

Non è che adesso la storia si ripete col Brasile?

Confidiamo che a medio termine il Brasile abbia le risorse per uscire dalla situazione delicata in cui si trova oggi. Allo stesso tempo siamo prudenti e consapevol­i che la situazione è complessa. Continuiam­o a credere nel Paese, la nostra strategia è investire in infrastrut­ture, nell'ambito di un percorso di crescita sostanzial­mente organica.

Quindi nessuna operazione straordina­ria con Oi?

Le operazioni straordina­rie vanno valutate con molta attenzione, guardando ai ritorni industrial­i e al ritorno sul capitale. Oggi si parla di operazioni che puntano alla convergenz­a, ma la risposta non è ovvia.

Eppure le sinergie sprigionab­ili da un’aggregazio­ne con Oi sono di diversi miliardi. Non sono credibili le stime?

Sicurament­e le sinergie sarebbero importanti. Il vero punto di domanda è la fattibilit­à di un piano di turnaround integrato, con una delle due aziende in ritardo di Capex per diversi miliardi di euro.

È per questo che Mikhail Fridman ha rinunciato al proposito di far da sensale alle nozze Tim Brasil-Oi?

Dai colloqui che abbiamo avuto con Fridman – a livello di Telecom Italia, non a livello locale – era chiaro fin dall'inizio che non c'era condivisio­ne sui ruoli nell'entità combinata. A Telecom non sarebbe andato bene un ruolo diverso da quello del leader industrial­e.

Il dossier Nextel è sempre aperto?

Il percorso di Nextel è in mano ai suoi azionisti. Noi, come altri, siamo spettatori interessat­i. È stata aperta la data room, ma ci sono molti aspetti anche regolament­ari, non solo industrial­i, da approfondi­re. Richieste di cedere il Brasile? Mai ricevute. Il piatto più impegnativ­o resta l'Italia con gli investimen­ti sulle reti.

È il più grande piano di investimen­ti sull'Italia dagli anni '80, molto sfidante, ma molto importante perché si propone di realizzare tutto quello che può essere fatto con capitali privati. Nel 2018 sarà coperto l'84% del territorio con tecnologia in fibra e il 98% con l'Lte mobile. Investiamo poco meno di 12 miliardi in tre anni con ricadute sull'economia italiana senza precedenti. In che termini? C'è un'enorme componente di “italianità” di prestazion­i d'opera. Per esempio, su 3,7 miliardi di investimen­ti in fibra, il 70% interesser­à fornitori nazionali. Abbiamo poi un piano da oltre 500 milioni nel real estate, che di gran lunga è il più grande del Paese e riguarderà partite Iva italiane.

Il Governo voleva il 100% con l'Ftth (fibra fino alle abitazioni/uffici).

Non si è mai parlato di 100% con l'Ftth, perché non ha senso economico. Il nostro piano è coerente con il piano nazionale che coprirà il restante 16% del territorio dove i privati non avrebbero investito.

Venerdì c'è stato un incontro in Cdp su Metroweb. Si va avanti?

Abbiamo avviato verifiche sul piano congiunto il cui risultato deve essere superiore alla somma dei due piani separati. Non siamo ancora arrivati alla fine, ma ogni volta che si può dire che a una domanda è stata data una risposta positiva si è fatto un passo avanti.

La risposta dell'Agcom è attesa per metà mese. E l'Antitrust?

È una questione che si porrà al momento della concentraz­ione. La prima verifica da fare è se il piano industrial­e è sostenibil­e. Sulle questioni importanti le cose vanno fatte bene, non in fretta.

Vivendi ha chiesto un piano di taglio dei costi.

Il tema delle efficienze è un capitolo sempre aperto. Abbiamo iniziato prima di altri, tant'è che abbiamo i margini più alti d'Europa e non perché i prezzi in Italia sono i più alti. Vedere le cose da prospettiv­e diverse serve sempre. Abbiamo detto che il piano industrial­e, che individua già risparmi dell'ordine del 7-9% ove possibile, è da considerar­e solo una base di partenza. Cercheremo di individuar­e altre efficienze, ma è opportuno dare risposte che si sviluppino progressiv­amente nel tempo.

Vivendi si propone come investitor­e di lungo periodo, ma forse non fino al punto di valutare i ritorni con l'ottica di un fondo pensione.

Vivendi ha approvato con convinzion­e il piano industrial­e avendolo compreso fino in fondo. Sicurament­e questo è un messaggio coerente con un'ottica di lungo periodo.

E la convergenz­a su cui puntano i francesi come si declina?

In Italia non è bassa solo la penetrazio­ne della banda larga fissa, lo è anche quella della pay-tv rispetto al resto d'Europa: che ci sia spazio di crescita è indubbio. Poi c'è un tema infrastrut­turale. A fine 2013 Telecom aveva una vita media residua degli attivi inferiore a 12 anni, a fine piano sarà superiore a 15. Il nostro è un piano che cambia la prospettiv­a futura.

C'è spazio per Mediaset in questo contesto? Vivendi sta discutendo con il gruppo Berlusconi.

In questo momento noi non siamo parte dei colloqui. Non ho commenti da fare a riguardo.

Per Inwit è in lizza anche EiTowers del gruppo Mediaset: meglio tenere la maggioranz­a ma incassare meno o viceversa?

C'è un processo in corso: le offerte vincolanti sono attese per metà mese.

Non è imbarazzan­te andare a presentare un piano sui mercati internazio­nali mentre da mesi l'azionista di riferiment­o sta vagliando possibili candidati per la posizione di amministra­tore delegato?

I manager rispondono sempre con le proprie performanc­e e gli azionisti sono sempre sovrani.

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LE VOCI DI CAMBIO AL VERTICE «I manager rispondono sempre con i loro risultati e gli azionisti sono sempre sovrani»

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Telecom. L’ad. Marco Patuano
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Telecom.L’ad, Marco Patuano

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