«Il piano Telecom è per l’Italia»
«Con 12 miliardi di investimenti ricadute senza precenti sull’economia - Da Vivendi un ok convinto»
Èappena terminato il road-show per presentare il piano Telecom, che punta sugli investimenti negli unici due mercati rimasti di quello che era una volta un impero delle tlc: Italia e Brasile. Le carte aziendali dimostrano che è il momento di farlo. Perché, a sorpresa, nell’ultimo trimestre 2015 la domanda domestica di rete ha registrato una vera impennata trainata da video e social network, con il fisso, che consuma 18 volte i byte del mobile. Tuttavia i ritorni si misureranno solo nel lungo periodo, mentre nell’immediato il peso del debito torna a farsi sentire (già a fine 2015 il rapporto contabile net debt/ Ebitda è schizzato a 3,9). «Nel corso del road show – spiega l’ad Marco Patuano – ho riscontrato una condivisione generale sulla necessità di un piano di investimenti per l'Italia, per garantire una sostenibilità di lungo periodo a Telecom».
«C erto che – ammette l’ad di Telecom Marco Patuano – il tema del minor deleverage, con il cash-flow concentrato sull'Italia, è stato notato. Però è da considerare che 1,5 miliardi di debito derivano da poste contabili in stretta applicazione dei principi Ias. Altri in Europa hanno usato margini di discrezionalità che noi non abbiamo utilizzato».
Resta il fatto che impostare un piano di lungo periodo con le finanze tirate è rischioso. Tant'è che Moody's ha già messo in conto l'eventualità di un downgrading.
Sul debito la situazione è sotto controllo, per una serie di motivi. Telecom ha in cassa liquidità sufficiente a coprire le scadenze dei prossimi tre anni. La durata media del debito è superiore a 7 anni. Il free cash-flow dell'Italia continua a essere molto abbondante rispetto al servizio del debito. Nel 2016 scade il convertendo che apporta 1,3 miliardi di capitale, la cessione di Telecom Argentina avrà un impatto positivo dell'ordine di 600 milioni di euro, ed è in corso il processo per la cessione di una quota di Inwit.
La cessione di Telecom Argentina è stata decisa nel 2013 quando Telefonica era in procinto di diventare il nuovo azionista di riferimento, col rischio concreto di una nazionalizzazione per la partecipata di Buenos Aires. Sempre convinti oggi di avere fatto bene, quando non solo non ci sono più vincoli di azionariato, ma inoltre è anche cambiato il contesto politico in Argentina?
Ho molta stima di Mauricio Macrì, che con conosco bene da anni e sono certo sarà una figura importante per l'Argentina. Tuttavia Telecom doveva fare delle scelte. Quando sono state fatte si era ragionato di concentrarsi sull'Italia e sul Brasile, che è un mercato con 200 milioni di abitanti e potenzialità di crescita. In finanza non c'è spazio per ripensamenti. Ricordo che noi abbiamo venduto in dollari, senza aggiustamenti di cambio, e quindi è stata una buona operazione.
Se non ci fosse stato il problema del debito, magari la scelta sull’Argentina sarebbe stata diversa.
Nel 2013 c'era l’esigenza di finanziare un piano di ivestimenti importante in un momento delicato in cui c'erano molti vincoli.
Non è che adesso la storia si ripete col Brasile?
Confidiamo che a medio termine il Brasile abbia le risorse per uscire dalla situazione delicata in cui si trova oggi. Allo stesso tempo siamo prudenti e consapevoli che la situazione è complessa. Continuiamo a credere nel Paese, la nostra strategia è investire in infrastrutture, nell'ambito di un percorso di crescita sostanzialmente organica.
Quindi nessuna operazione straordinaria con Oi?
Le operazioni straordinarie vanno valutate con molta attenzione, guardando ai ritorni industriali e al ritorno sul capitale. Oggi si parla di operazioni che puntano alla convergenza, ma la risposta non è ovvia.
Eppure le sinergie sprigionabili da un’aggregazione con Oi sono di diversi miliardi. Non sono credibili le stime?
Sicuramente le sinergie sarebbero importanti. Il vero punto di domanda è la fattibilità di un piano di turnaround integrato, con una delle due aziende in ritardo di Capex per diversi miliardi di euro.
È per questo che Mikhail Fridman ha rinunciato al proposito di far da sensale alle nozze Tim Brasil-Oi?
Dai colloqui che abbiamo avuto con Fridman – a livello di Telecom Italia, non a livello locale – era chiaro fin dall'inizio che non c'era condivisione sui ruoli nell'entità combinata. A Telecom non sarebbe andato bene un ruolo diverso da quello del leader industriale.
Il dossier Nextel è sempre aperto?
Il percorso di Nextel è in mano ai suoi azionisti. Noi, come altri, siamo spettatori interessati. È stata aperta la data room, ma ci sono molti aspetti anche regolamentari, non solo industriali, da approfondire. Richieste di cedere il Brasile? Mai ricevute. Il piatto più impegnativo resta l'Italia con gli investimenti sulle reti.
È il più grande piano di investimenti sull'Italia dagli anni '80, molto sfidante, ma molto importante perché si propone di realizzare tutto quello che può essere fatto con capitali privati. Nel 2018 sarà coperto l'84% del territorio con tecnologia in fibra e il 98% con l'Lte mobile. Investiamo poco meno di 12 miliardi in tre anni con ricadute sull'economia italiana senza precedenti. In che termini? C'è un'enorme componente di “italianità” di prestazioni d'opera. Per esempio, su 3,7 miliardi di investimenti in fibra, il 70% interesserà fornitori nazionali. Abbiamo poi un piano da oltre 500 milioni nel real estate, che di gran lunga è il più grande del Paese e riguarderà partite Iva italiane.
Il Governo voleva il 100% con l'Ftth (fibra fino alle abitazioni/uffici).
Non si è mai parlato di 100% con l'Ftth, perché non ha senso economico. Il nostro piano è coerente con il piano nazionale che coprirà il restante 16% del territorio dove i privati non avrebbero investito.
Venerdì c'è stato un incontro in Cdp su Metroweb. Si va avanti?
Abbiamo avviato verifiche sul piano congiunto il cui risultato deve essere superiore alla somma dei due piani separati. Non siamo ancora arrivati alla fine, ma ogni volta che si può dire che a una domanda è stata data una risposta positiva si è fatto un passo avanti.
La risposta dell'Agcom è attesa per metà mese. E l'Antitrust?
È una questione che si porrà al momento della concentrazione. La prima verifica da fare è se il piano industriale è sostenibile. Sulle questioni importanti le cose vanno fatte bene, non in fretta.
Vivendi ha chiesto un piano di taglio dei costi.
Il tema delle efficienze è un capitolo sempre aperto. Abbiamo iniziato prima di altri, tant'è che abbiamo i margini più alti d'Europa e non perché i prezzi in Italia sono i più alti. Vedere le cose da prospettive diverse serve sempre. Abbiamo detto che il piano industriale, che individua già risparmi dell'ordine del 7-9% ove possibile, è da considerare solo una base di partenza. Cercheremo di individuare altre efficienze, ma è opportuno dare risposte che si sviluppino progressivamente nel tempo.
Vivendi si propone come investitore di lungo periodo, ma forse non fino al punto di valutare i ritorni con l'ottica di un fondo pensione.
Vivendi ha approvato con convinzione il piano industriale avendolo compreso fino in fondo. Sicuramente questo è un messaggio coerente con un'ottica di lungo periodo.
E la convergenza su cui puntano i francesi come si declina?
In Italia non è bassa solo la penetrazione della banda larga fissa, lo è anche quella della pay-tv rispetto al resto d'Europa: che ci sia spazio di crescita è indubbio. Poi c'è un tema infrastrutturale. A fine 2013 Telecom aveva una vita media residua degli attivi inferiore a 12 anni, a fine piano sarà superiore a 15. Il nostro è un piano che cambia la prospettiva futura.
C'è spazio per Mediaset in questo contesto? Vivendi sta discutendo con il gruppo Berlusconi.
In questo momento noi non siamo parte dei colloqui. Non ho commenti da fare a riguardo.
Per Inwit è in lizza anche EiTowers del gruppo Mediaset: meglio tenere la maggioranza ma incassare meno o viceversa?
C'è un processo in corso: le offerte vincolanti sono attese per metà mese.
Non è imbarazzante andare a presentare un piano sui mercati internazionali mentre da mesi l'azionista di riferimento sta vagliando possibili candidati per la posizione di amministratore delegato?
I manager rispondono sempre con le proprie performance e gli azionisti sono sempre sovrani.
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