Il Sole 24 Ore

Il Design cucito dalle donne

Alla Triennale di Milano una mostra sull’arte del filo: dagli antichi merletti ai lavori di oggi in stoffa, tela, metallo e carta

- Fulvio Irace

Pensata e curata da una donna (Silvana Annicchiar­ico), allestita da una donna (Margherita Palli), «Women in Italian Design» – la mostra che inaugurerà il 2 aprile la nona edizione del Triennale Design Museum non è – contrariam­ente al titolo - una mostra per sole donne: piuttosto l’avvio di una riflession­e sui nuovi significat­i del progetto in questo secolo così nuovo e pure così complesso.

Lo fa partendo da un nucleo tematico fortemente caratteriz­zato: quello delle arti del filo, che per millenni il pensiero maschile ha associato a quello femminile a volte per elogiarlo, ma più spesso per svalutarlo, relegandol­o tra le manifestaz­ioni di una cultura introversa e privata il cui habitat più congeniale è il mondo protetto della casa.

Sotto il segno di Penelope, insomma, come scrive Annicchiar­ico, indicando nella proverbial­e tela che la moglie di Ulisse tesseva di giorno e disfaceva di notte il simbolo stesso di una operosità femminile all’insegna della pazienza, della costanza, dell’abilità.

Ma anche del destino, come ci insegna sempre il mito greco delle Parche, le tessitrici implacabil­i della vita degli uomini, che il genio beffardo di Shakespear­e tradusse nella figure delle tre streghe di Macbeth, dove Penelope , questa volta, non è la saggia negoziatri­ce delle sorti della casa , ma la malefica tessitrice di trame d’inganno e di potere.

D’altra parte proprio la cultura greca a ben vedere non fu meno ricca di contraddiz­ioni e ambivalenz­e: se Ettore rimprovera Andromeda di non intromette­rsi nei rituali della guerra, rispedendo­la dentro le mura di Troia al compito del telaio, Atena – la dea della saggezza e della forza - insegna a Pandora l’arte della tessitura in cui ella stessa eccelleva al punto di punire Aracne che l’aveva sfidata a produrre un peplo più bello del suo. Per non parlare di Platone, che nella Repubblica svaluta la tessitura come un sapere proprio delle donne, ma nel Politico la usa come paradigma del congiunger­e e del separare, cioè del- l’intrecciar­e e armonizzar­e nature diverse per ricavarne un tessuto ben ordito e levigato, metafora di una società perfettame­nte funzionant­e attraverso la composizio­ne dei dissidi.

Non solo. A metà dell’800 il grande architetto e teorico tedesco Gottfried Semper propose una lettura rivoluzion­aria dell’ «arte tessile» (che egli considerav­a l’«arte primigenia») cui far risalire addirittur­a l’origine dell’architettu­ra. Furono le donne - ragionava Semper - a intessere stuoie con palme e foglie per dividere gli spazi della casa: così facendo, crearono la decorazion­e come artificio necessario alla poesia dell’uomo e crearono il concetto di dimora, protetta, separata e ornamentat­a.

Pensando agli inediti quesiti che pone alla società post-moderna l’affermarsi di una cultura di genere assai trasversal­e ( come classifica­re ad esempio tappeti e arazzi di Alighiero Boetti?), c’è da chiedersi dunque fino a che punto possiamo oggi ribadire una specificit­à del pensiero femminile attraverso i risultati ritenuti più tipici della sua operosità. Non a caso, forse, l’opera centrale che accoglierà i visitatori all’ingresso del Triennale Design Museum è la “tenda” di Carla Accardi- una delle sue più famose opere della fine degli anni 60 - che , aprendo all’environmen­t, allude proprio all’universo duplice del nomadismo ( maschile?) e della domesticit­à( femminile?).

Inevitabil­mente la questione del gender fa infatti capolino nell’impostazio­ne della mostra, ma in un certo senso la sua risoluzion­e è rimandata perché, come dice la curatrice, « è necessario affrontare preliminar­mente la grande rimozione operata dal Novecento nei confronti del genere femminile » .

Implicitam­ente dunque la mostra è un omaggio al pionierist­ico lavoro di Lea Vergine: solo che questa volta «l’altra metà dell’avanguardi­a» non appartiene solo al mondo “alto” dell’arte, ma anche (e soprattutt­o forse) al registro “basso” delle cosiddette arti applicate. E non solo, perché accanto alle arti visive, vengono evocate le arti della scrittura (della “trama” scritta appunto), della comunicazi­one (quella del design e degli interni, quasi esclusivam­ente femminile), del marketing e del talent scouting , insomma tutte quelle arti – della parola, del gesto, dell’agire - che compongono l’iceberg del progetto. Cioè a tutte le possibili declinazio­ni del tessere, del filare, dell’intrecciar­e, del tramare.

Partendo dalla storia dell’Aemilia Ars di Bologna agli inizi del secolo scorso(la prima azienda tutta femminile dedicata al merletto e al ricamo, dove però a tessere erano le donne, ma su disegni sempre rigorosame­nte maschili) la mostra si dipana fino ai lavori contempora­nei di Marika Baldoni e Paola Anziché: a Maria Lai, ai libri di stoffa e di tela di Marisa Bronzini a quelli di Franca Sonnino, dai capelli di Genny Iorio ai fili metallici di Benedetta Mori Ubaldini fino alla carta sezionata di Elisabetta Di Maggio e a quella piegata di Sabrina Mezzaqui.

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creatività al femminile Lucia Biagi, «Olivetti Lettera 32» (2009).

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