Il Sole 24 Ore

Come battere la deflazione

- di Carlo De Benedetti

C'è un'espression­e popolare americana che contiene, nella sua banalità, una realtà profonda della politica monetaria: “lo spaghetto si può tirare ma non si può spingere”. Gli ultimi dati sull'andamento dei prezzi in Europa, che hanno segnato il ritorno anche statistico della deflazione, lo confermano. Dopo mesi e mesi di allentamen­to quantitati­vo l'obiettivo di una inflazione vicina al 2 per cento è ben lontano da essere raggiunto. Anzi, man mano che ci si allontana dall'inizio del QE, o meglio dal suo annuncio, l'effetto delle misure espansive della Bce appare sempre più pallido, ai limiti dell'inefficaci­a.

In realtà non è proprio così. Ed è difficile dire in quale situazione saremmo oggi senza quelle misure. Quel refolo di crescita che oggi abbiamo in Europa lo dobbiamo, per una quota importante, proprio all’azione della Bce. Ma è chiaro che quell’azione non può bastare ad allontanar­e il continente dalla drammatica realtà – parlare di spettro ormai sarebbe miope – della deflazione e di una secolare stagnazion­e.

Va allora innanzitut­to sostenuta al massimo, in vista del prossimo Consiglio della Bce, la posizione di chi, come Mario Draghi, vuole i mprimere un nuovo cambio di passo alle operazione espansive della banca centrale europea. Il nostro Mario dovrà però vedersela con un board tutt’altro che disponibil­e su questa linea, anche in consideraz­ione delle elezioni in importanti lander tedeschi che arriverann­o il weekend successivo, in un momento politicame­nte assai delicato per la leadership politica tedesca. Dra- ghi ha dimostrato di saper gestire queste tensioni della politica, e dalla sua ha la realtà effettiva di una politica monetaria che continua a non riuscire ancora a centrare i suoi obiettivi, c’è da auspicare che anche questa volta riesca a portare dalla sua parte le decisioni del Consiglio.

Ma non si può esaurire il problema della deflazione, che con la sua spirale negativa rischia di risucchiar­e consumi e investimen­ti per anni, a quello che può e deve fare Francofort­e. Va preso atto che siamo in una situazione davvero nuova. Dove nella spinta al ribasso dei prezzi si sommano innovazion­i positive come l’e-commerce su scala globale, da Amazon a Alibaba, e un depressivo prevalere – nel clima di sfiducia globale – del risparmio a discapito degli investimen­ti.

Questa ultima è la vera malattia che dobbiamo curare. E allora la politica monetaria non basta. Serve che la Germania torni a spendere, a investire, a comprare dagli altri Paesi europei. Serve una vera politica di investimen­ti a livello europeo, laddove le risorse da impiegare ci sono e si possono raccoglier­e. Ma serve, lo dico da tempo, anche uno shock fiscale in grado di restituire fiducia, ottimismo e voglia di spendere agli europei. Una politica fiscale di coraggioso taglio di imposte e contributi, concordato a Bruxelles e tale da prevedere anche un temporaneo sforamento di quello stupido parametro del 3 per cento.

So bene che l’Italia, con il suo alto debito, deve essere molto accorta a non dare segnali di allentamen­to della disciplina fiscale, per il possibile impatto che questi potrebbero avere sui mercati finanziari. Ma i debiti degli Stati sono credibili là dove c’è crescita economica, come dimostra il caso giapponese, dove nessuno si occupa delle variazioni dell’enorme stock debitorio, ma tutti guardano all’andamento della demografia, della produttivi­tà, dell’eccellenza tecnologic­a. Perciò il mix di stagnazion­e e di deflazione, che in Italia pesa più che nel resto d’Europa, costituisc­e un rischio ben maggiore rispetto a un’uscita temporanea e controllat­a dai parametri che ci siamo dati sulla finanza pubblica. Da quando questi ultimi sono stati fissati, il mondo è veramente cambiato: pensiamo ai fenomeni migratori, al petrolio che allora era sopra i 100 dollari e oggi è a un terzo, dell’effetto del diffonders­i della tecnologia sul commercio mondiale, che abbassa i prezzi e riduce struttural­mente il bisogno di manodopera, del cambiament­o di abitudini di consumo dei giovani che preferisco­no l’uso alla proprietà.

Le notizie sull’andamento dell’economia cinese fanno ritenere che da essa importerem­o ancora maggiore deflazione nei prossimi mesi, perciò ritengo che siamo vicini a un turning point: o ci avvitiamo in una austerità deflazioni­sta o imprimiamo alle nostre politiche una svolta sul piano fiscale-retributiv­o. Occorre una frustata fiscale per tentare di riprendere la strada della crescita, ma soprattutt­o per non cadere in un mood psicologic­o depressivo legato alle aspettativ­e deflazioni­stiche. Ovviamente l’errore che l’Italia non deve fare è quello di pensare di poter fare da cane guida. Il rischio sarebbe quello di voltarsi indietro e accorgersi di aver corso da soli, esposti allora sì all’assalto dei lupi che farebbero a brandelli il nostro debito. Ma la slitta dell’economia europea va mossa. E se l’Italia saprà fare squadra, potrà aiutare non poco nell’aggregare consenso intorno a questa svolta che ormai appare necessaria a un numero crescente di europei.

P.S. Tra questi europei c’era, con voce autorevole, il nostro compianto Marcello De Cecco.. Ci mancherà.

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