I target raggiunti sul deficit «perno» della posizione negoziale italiana
Deficit in linea con le stime, debito che da quest’anno comincerà a ridursi in rapporto al pil. Dopo l’incontro a palazzo Chigi tra Matteo Renzi e Jean Claude Juncker del 26 febbraio, che ha rinviato alla definizione in sede tecnica l’esito finale del confronto sui conti italiani, il ministero dell’Economia sta mettendo a punto il set di documenti su cui focalizzare la trattativa con Bruxelles.
In primo piano grafici e tabelle che correderanno i prossimi documenti programmatici di metà aprile. Il ragionamento, che ha come obiettivo prevalente quello di rassicurare Bruxelles e i partner europei, al pari dei mercati e dell’opinione pubblica, è sostanzialmente questo. Se si guarda agli ultimi due anni, le previsioni di deficit (2,6% nel 2015 e 2,2% nel 2016) risultano in linea con le stime contenute nelle Note di aggiornamento al Def presentate nel settembre 2014 e settembre 2015. In sostanza – questa è la riflessione che si fa in Via XX Settembre – nonostante gli scostamenti registrati per quel che riguarda l’andamento del Pil (nel 2015 il risultato finale dello 0,8% è inferiore di un decimale rispetto allo 0,9% dell’ultima stima governativa), il deficit risulta comunque in calo. Le tabelle mostrano che nel 2011 rispetto a una previsione di deficit iniziale del 3,9%, lo scostamento è dello 0,4% rispetto al consuntivo Istat (3,5%). Nel 2012 è andata decisamente peggio con una differenza dell’1,2% tra l’1,7% stimato dal Def e il risultato finale (2,9%). Nel 2013 i dati sono in linea (2,9% la stima, 2,9% il consuntivo), al pari del 2014 (3%) e 2015 (2,6%).
Lo scorso anno le uscite totali delle amministrazioni pubbliche si sono attestate al 50,4% del Pil, in calo dello 0,1% rispetto al 2014 (la spesa per interessi si è ridotta dell’8%, contro il 4,2% del 2014). Dunque, il calo dello spread e dei tassi ha svolto un ruolo determinante. Ora la sfida è per gran parte nella possibilità di realizzare una spending review ambiziosa, cui affidare il compito di finanziare la riduzione della pressione fiscale, in primis sul lavoro.
Il ritorno del deficit sotto quota 3% del Pil ha consentito al nostro paese di uscire dalla procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo. Questione da non sottovalutare, poiché la riammissione nel parterre dei paesi cui possono applicarsi le procedure del “braccio preventivo” previsto dal Patto di stabilità, ha aperto la strada alla richiesta di flessibilità, alla luce della Comunicazione della Commissione Ue del 13 gennaio 2015. Finora è stato concesso lo 0,4% a valere sulla clausola per le riforme. In maggio Bruxelles si spingerà probabilmente fino allo 0,75%, nell’effetto cumulato riforme e investimenti, contro l’1% nel totale chiesto dal Governo. Si può dunque ipotizzare che nel 2017, ferma restando la precondizione di non
OLTRE LE RIFORME Nel confronto con Bruxelles resta fondamentale un segnale di riduzione del debito pubblico
sforare comunque il tetto del 3% nel rapporto deficit/pil (che sarebbe avvertito soprattutto dai mercati come un segnale di allentamento nella disciplina di bilancio), ci si possa spingere verso il 2 per cento o magari qualche decimale in più? Probabilmente sì (servirebbe a neutralizzare il prospettato aumento dell’Iva), considerato che la previsione attuale è dell’1,1%, ma solo a patto di rispettare l’impegno a ridurre il debito pubblico. E a fronte di un programma strutturale e selettivo di riqualificazione della spesa, da affiancare al recupero di base imponibile grazie alla lotta all’evasione, all’ampliamento della tax compliance e all’auspicata svolta del sistema fiscale in direzione di un rapporto finalmente più civile ed equo con i contribuenti, all’insegna della semplificazione degli adempimenti tributari. 7 La “flessibilità” è quel meccanismo in base al quale la Ue consente di derogare alle regole europee sui conti pubblici definite dal Patto di Stabilità nel rispetto del rapporto deficit/Pil al 3%. Bruxelles prevede tre tipi di clausole di flessibilità: per gli investimenti, per le riforme strutturali e quella per il ciclo economico sfavorevole. Finora è stato concesso all’Italia lo 0,4% a valere sulle riforme. In maggio Bruxelles si spingerà forse fino allo 0,75%, nell’effetto cumulato riforme e investimenti, contro l’1% nel totale chiesto dal Governo