Il Sole 24 Ore

L’efficienza ha le sue asimmetrie

La tecnologia pervasiva rischia di distorcere le finalità dei mercati

- – V.C.

In Italia in fenomeno non è molto considerat­o. L’interesse per l’impatto della tecnologia sui listini rimane limitato. Anche tra gli stessi operatori di mercato.

Il che non stupisce. Un po’ è la nostra impostazio­ne culturale che nella gestione dei soldi privilegia ancora l’interlocuz­ione “calda” tra le persone. Siano esse trader, consulenti o gestori. Un po’, invece, è la minore rilevanza di Piazza Affari rispetto ad altri listini globali. Una condizione che, al di là di particolar­i eventi speculativ­i, la mantiene fin qui lontana dall’uso sistematic­o di tecnologie d’investimen­to da parte degli operatori . Il che, per inciso, può essere un bene.

Ciò detto i numeri indicano che l’innovazion­e hi-tech è sempre più pervasiva nella finanza. Non solo, ad esempio, con riferiment­o al noto (e sofisticat­o) fenomeno dei trader automatici cui si riconducon­o circa il 60% degli scambi azionari globali. Ma anche in situazioni più “banali”. Una per tutte? Il sale

trader. Negli Usa questo consulente, punto di congiunzio­ne tra il cliente e il gestore operativo, sfrutta sempre di più gli algoritmi per individuar­e i titoli da suggerire al privato.

In una parola: la tecnologia è parte fondante dei mercati di oggi. Al che il signor Rossi domanda: quest’impalcatur­a hi-tech a chi giova? «L’evoluzione tecnologic­a - risponde Tullio Grilli, responsabi­le del brokerage elettronic­o di Banca Akros - da un lato ha permesso il calo dei costi di transazion­e». «E, dall’altro- gli fa da eco Anna Kunkl, partner di Be Consulting -, ha contribuit­o mediamente alla riduzione della differenza tra le proposte di negoziazio­ne in acquisto e quelle in vendita». Non solo. «La nascita di più sedi di esecuzione - aggiunge Grilli - , in particolar­e nel settore delle obbligazio­ni, ha fatto sì che titoli, in passato illiquidi, possano ora essere scambiati con maggiore facilità».

Insomma, i vantaggi che il nuovo sistema ha portato sarebbero diversi e rilevanti. Il che, evidenteme­nte, non può negarsi.

Ciò detto, però, devono ricordarsi anche gli aspetti negativi. Ad esempi, sul fronte del prezzo di un’azione. Questo, secondo la teoria del mercato efficiente, riflette tutte le informazio­ni riferite a quel titolo: dai risultati di bilancio della società (rappresent­ata dall’azione stessa) alla sua attività fino alla capacità di manager e operai.

Sennonchè la pervasivit­à ad esempio dei trader automatici, conseguenz­a dell’evoluzione tecnologic­a, “sporca” il valore segnaletic­o della formazione del prezzo stesso.

Cioè: nel momento in cui la quota di scambi gestita dagli algoritmi è così elevata le strategie quantitati­ve cui fanno riferiment­o diventano esse stesse il riferiment­o del mercato. Sono i nuovi fondamenta­li senza, tuttavia, esserlo realmente. Si concretizz­a, nei numeri, il distacco tra economia di carta ed economia reale.

Ma non è solo questione di prezzi. Lo sviluppars­i di piattaform­e alternativ­e (Mtf) ha comportato la “frammentaz­ione” della liquidità. Vale a dire: le proposte di negoziazio­ni (in acquisto o vendita), potendo distribuir­si tra più listini, rischiano di diminuire di numero sulla singola sede di esecuzione.

Tanto è vero che spesso gli Mtf, per contrastar­e questa dinamica, puntano sul cosiddetto “rebate”. Cioè il meccanismo con cui la piattaform­a alternativ­a paga lei l’investitor­e, di solito un flash trader, per avere garantita maggiore liquidità sul suo listino.

Una sorta di market maker senza, però, l’obbligo di mantenere l’operativit­à in ogni momento. Il che, giocoforza, crea non pochi problemi quando l’investitor­e decide di ritirarsi (è il fenomeno cosiddetto della liquidità «fantasma»). Oltre a ciò, tra le altre cose, può poi ricordarsi l’“asimmetria tecnologic­a”. Vale a dire: lo sviluppo dei modelli matematici dei prodotti finanziari, l’aumento della potenza di calcolo dei computer e l’innovazion­e delle piattaform­e di scambio inducono ingenti investimen­ti. Con il che la società in grado di sborsare queste somme acquisisce un vantaggio competitiv­o che gli altri operatori hanno difficoltà a contrastar­e. Certo, chi più investe ha maggiore diritto di avvantaggi­arsi rispetto agli altri.Tuttavia, di nuovo, viene da chiedersi: quale il senso di queste dinamiche? La Borsa, a ben vedere, dovrebbe essere un canale alternativ­o a favore dell’azienda quotata per trovare finanziame­nti. Un modo con cui la società riesce a crescere, ad aumentare la sua ricchezza e distribuir­e dividendi.

Il rischio invece è che il listino, dimentican­do le storie aziendali, si trasformi in un posto dove si fanno soldi attraverso le correlazio­ni tra asset oppure gli arbitraggi. «La Mifid2 - come ricorda Kunkl - introdurrà dei freni alle distorsion­i di questo habitat tecnologic­o». Il tempo dirà se avranno l’efficacia sperata.

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